Quello che è avvenuto a Bari sabato 7 luglio, la preghiera per la pace e l'incontro a porte chiuse tra i responsabili di tutte le Chiese cristiane del Medio Oriente invitate dal Papa per discutere dei drammi di quella martoriata regione, segna una svolta importante nella storia dei rapporti ecumenici. Si è infatti trattato di un meeting che per la prima volta in modo evidente incarna l'approccio di Papa Francesco alle questioni ecumeniche: non più soltanto incontri tra commissioni teologiche per il lungo, complicato e difficile cammino di riconciliazione e di interpretazione e chiarimento sulle differenze accumulatesi lungo i secoli. Non più soltanto incontri bilaterali di vertice - pure importantissimi, come quello storico all'Avana del 2016, il primo tra un Vescovo di Roma e un Patriarca di Mosca. 

 

Ciò che è accaduto a Bari, città ponte tra Occidente e Oriente, sotto la protezione di san Nicola, veneratissimo nelle Chiese orientali, è stato qualcosa di più e finalmente di diverso, che bene interpreta l'idea di un ecumenismo fatto di amicizia, condivisione, confronto sui temi e - soprattutto - comune testimonianza attraverso la carità. Andrea Riccardi ha definito quello di Bari «quasi un “sinodoˮ tra il Papa e i capo delle Chiese del Medio Oriente di fronte a un’emergenza terribile, quella della guerra in tanti suoi aspetti, e al crollo della presenza dei cristiani nella regione. Questa esperienza inaugura una nuova via che i cristiani possono percorrere in Medio Oriente e in altre regioni del mondo: un ecumenismo solidale e sinodale».

 

Le guerre, i fondamentalismi, le tensioni, i drammi che si consumano in quelle terre martoriate che sono state culla del cristianesimo e nelle quali i cristiani oggi soffrono insieme alla maggioranza della popolazione musulmana le conseguenze di grandi interessi economici e strategici, insieme al problema dell'emigrazione, rischiano di snaturare il Medio Oriente. Per questo il «segno eloquente dell'unità dei cristiani», rappresentato dall'incontro di Bari (così l'ha definito Francesco all'Angelus di domenica 8 luglio) rappresenta una speranza.

 

La novità maggiore è stata l'essersi seduti attorno a un tavolo per riflettere e discutere. I lavori sono stati introdotti da una relazione di Pierbattista Pizzaballa, amministratore del patriarcato, il quale ha innanzitutto offerto un quadro analitico della situazione e dei cambiamenti politici e religiosi in atto in Medio Oriente: i nuovi equilibri e le nuove instabilità, il conflitto interno allo stesso mondo islamico. Non era questa la parte sostanziale e propositiva del contributo di Pizzaballa, ma è stato a motivo per cui la Santa Sede ha preferito non rendere pubblico il documento. Quindi l'amministratore del patriarcato di Gerusalemme ha cercato di rispondere a una grande domanda di fondo: come essere Chiesa, fedele alla propria missione e vocazione, in questo contesto? La via suggerita è quella di una maggiore comunione tra tutti i cristiani, abbandonando particolarismi e rivalità. E anche abbandonando l'attitudine a confidare troppo nelle alleanze politiche o nelle strategie umane e mondane.

 

Rimanere Chiesa significa, ha detto Pizzaballa, dare spazio a Dio nella preghiera e ascoltare Dio in una preghiera che diventa carità. Significa anche avere “parresiaˮ perché non si può tacere di fronte alle ingiustizie. La proposta è stata bene accolta dai patriarchi presenti, la discussione non è stata animata né si sono registrati significativi dissensi o contestazioni. 

 

Indicazioni preziose sono venute anche dai discorsi pubblici di Francesco. «Anche il nostro essere Chiesa - ha detto il Papa - è tentato dalle logiche del mondo, logiche di potenza e di guadagno, logiche sbrigative e di convenienza. E c’è il nostro peccato, l’incoerenza tra la fede e la vita, che oscura la testimonianza. Sentiamo di doverci convertire ancora una volta al Vangelo, garanzia di autentica libertà, e di farlo con urgenza ora, nella notte del Medio Oriente in agonia. Come nella notte angosciosa del Getsemani, non saranno la fuga o la spada ad anticipare l’alba radiosa di Pasqua, ma il dono di sé a imitazione del Signore».

 

Non la fuga né la spada significa anche non abbandonare mai l'autentica vocazione evangelica e l'imitazione di Cristo, “Principe della paceˮ. Significa non appoggiarsi a poteri mondani, non invocare protettorati, e neanche esaltare con forzature il dramma della condizione dei cristiani stessi, che sono cittadini a pieno titolo e condividono la tragedia della guerra e del fondamentalismo insieme ai loro fratelli e sorelle musulmani.

 

L'ecumenismo del sangue, del quale ha molte volte parlato Papa Bergoglio, in Medio Oriente è purtroppo realtà. Se le Chiese, troppo spesso avviluppate su se stesse nella difesa dello status quo, sapranno rendere testimonianza come suggerisce Francesco, quella dei cristiani in mezzo al dramma mediorientale diventerà sempre di più una voce sola. La voce dei seguaci di Gesù, che in attesa di poter bere all'unico calice, già da ora possono pregare insieme, camminare insieme, rispondere insieme al bisogno degli ultimi e dei perseguitati, levare insieme la propria voce in difesa della vita e della dignità dell'uomo e cercare di far sì che il Medio Oriente non sia più la terra di quanti lasciano la loro terra, ma possa essere un luogo dove credenti di diverse fedi convivono da fratelli. «Popoli fratelli, Chiese sorelle» diceva il Patriarca di Costantinopoli Atenagora, come ha ricordato Riccardi. È significativo che l'incontro di Bari sia avvenuto proprio nel giorno in cui si ricorda la morte di quel Patriarca, padre dell'ecumenismo insieme a Paolo VI.

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