Avere associato sulla prima pagina di ‘Libero’ il titolo ‘Questo è l’Islam’ a una foto dell’attacco terroristico al giornale parigino Charlie Hebdo non costituisce “vilipendio” nei confronti dei fedeli musulmani. Lo stabilisce oggi una sentenza del Tribunale milanese, che ha assolto perché il “fatto non sussiste” Maurizio Belpietro, finito a processo e assolto per la seconda volta (dopo essere già finito alla sbarra e scagionato per il titolo ‘Bastardi islamici’) con le accuse di vilipendio aggravato e violazione della legge Mancino del 1993 che punisce “discriminazione, odio o violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”.

Il giudice monocratico della decima sezione penale del Tribunale di Milano, Ombretta Malatesta, non ha così accolto la richiesta del pm Piero Basilone di condannare il giornalista a una multa da 7500 euro. Secondo il pubblico ministero infatti, Belpietro offese “pubblicamente l’Islam, creando una immedesimazione tra l’atto terroristico e la religione”. Immedesimazione che non esiste, secondo l’accusa, che nella sua requisitoria ha portato all’attenzione del giudice non solo alcuni passaggi del Corano, ma anche una lettera firmata nel 2014 da 124 guide musulmane e indirizzata ad Al-Baghdadi, califfo del sedicente Stato Islamico, in cui si criticava l’interpretazione della religione da parte dell’Isis e si ribadiva che la fede islamica “proibisce la violenza” in nome di Allah.

Insomma, secondo il pm, Belpietro con quel titolo “non ha rispettato il presupposto di verità sull’Islam”. E questo è ancora più grave, in quanto il giornalista è “un uomo colto e stimato, capace di orientare il consenso e quindi il suo operato è ancora più pericoloso”. Diversa la tesi del difensore del giornalista, l’avvocato Valentina Ramella, secondo la quale può essere punito solo chi offende direttamente i credenti di qualsivoglia religione e non chi offende il credo in sé. Dunque, secondo il legale che si è visto accogliere oggi la tesi dal giudice, Belpietro doveva essere “assolto perché il fatto non sussiste” in quanto, a suo dire, non vi sarebbe stata “offesa diretta né a una, né a 150, né a un milione di persone”.

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