Lampi di genio e esplosioni di rabbia, intuizioni luminose e convinzioni ambigue, insondabili segreti e confessioni inattese. In coincidenza con il centenario della nascita, la psiche del regista nato il 14 luglio del 1918 a Uppsala e scomparso il 30 luglio del 2007 sull’isola di Faro, in Svezia, viene indagata e svelata nel film di Jane Magnusson «Bergman 100: La vita, i segreti, il genio», in prima tv esclusiva su Sky Arte Hd (canale 120, 400 e 106). L’unico modo per affrontare l’impresa impossibile di raccontare l’autore di «Fanny e Alexander» era circoscrivere lo spazio della narrazione, individuando un periodo speciale della sua esistenza, quello tra il 1957 e il 1963, e concentrandosi su quello: «Dopo il 1957 - spiega la regista - Bergman ha realizzato 24 lungometraggi, 59 produzioni teatrali e 19 film per la televisione.

Ha scritto sceneggiature, firmato alcuni cortometraggi e si è affermato come autore riconosciuto scrivendo romanzi e memorie come «Immagini» e «Lanterna magica». A prescindere dall’impatto che ha esercitato su ciascuno di noi, è stato maestro nel sollecitare l’intelligenza del pubblico». Un merito, questo, che non può essere contestato, e che fa apparire ancora più violento il contrasto con gli aspetti oscuri e inspiegabili della personalità dell’autore, affrontati dal documentario senza giri di parole e senza alcuna paura di intaccarne il culto.

Dal documentario (disponibile in Dvd e sulle piattaforme On Demand), in cui i materiali d’archivio si alternano alle interviste con i collaboratori più stretti, con il fratello, con attori celebri come Barbara Streisand e Elliot Gould, emergono verità imbarazzanti. In primo luogo quella di un passato giovanile filo-nazista mai veramente rinnegato, e poi molte altre, dai rapporti turbolenti con le donne al legame controverso con il fratello Dag che svela, in un colloquio inedito (di cui il regista aveva, a suo tempo, bloccato la diffusione), quanto i riferimenti alla vita familiare di Bergman fossero stati restituiti, nei suoi film, in maniera completamente distorta: «La verità era che Ingmar era il figlio preferito, amava trascorrere il tempo con nostro padre e, per farsi benvolere, continuava a fare domande su Gesù e la religione, e, per questo, veniva ricompensato». Nelle confessioni di Ingmar Bergman «la fuga nel mondo del cinema» era stata, invece, un modo per bilanciare i danni di un’educazione ingiusta.

Di sicuro, il rapporto del grande autore con la realtà non doveva essere lineare.

In un’intervista televisiva, inserita nel film, si assiste alla scena imbarazzante del regista che dice di essere andato dallo psichiatra «una sola volta nella vita» e dell’attrice Bibi Andersson che invece parla di frequentazione assidua e motivata: «Bergman era talmente pieno di nevrosi che, se le avesse curate, forse avrebbe smesso di fare film». Le donne sono un altro dei punti dolenti. Bergman è stato sposato cinque volte, ha avuto innumerevoli relazioni e ha messo al mondo 9 figli da 6 donne diverse: «Negli ultimi 3 anni - dichiara la regista Jane Magnussen - ho parlato con i colleghi di Bergman. Le sue attrici e i suoi attori, come ad esempio Gunnel Lindblom, la sua produttrice e segretaria di edizione Katinka Farago, gli ingegneri del suono e gli aiuto registi. Hanno tracciato un variopinto ritratto di un grande artista che poteva essere un’immensa fonte di ispirazione, ma anche di puro terrore. Un uomo estremamente sensibile al suono, alla luce, al cibo, ai sogni, ma non molto alle altre persone. Un uomo che ha lavorato più duramente e più rapidamente di chiunque altro nella storia del cinema».

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