Il dolore per l’esclusione dalla comunità, il dolore per l’abbandono, il dolore per lo scherno e la solitudine. Queste, come tutte le altre forme di dolore, chiedono di essere ascoltate da qualcuno che sia lì, pronto a farsene toccare: qualcuno capace di prossimità, di tenerezza, di compassione, in grado di sentire quel dolore come proprio, di intervenire e medicare. Subito. E quando ciò accade, quando la compassione inizia a circolare, chi è nel dolore riprende fiato. E speranza, scoprendo propria vita accudita con delicatezza. Nel nord del Camerun – impaurito per la minacciosa presenza dei terroristi di Boko Haram e prostrato da una pesante carestia – c’è chi sta riprendendo fiato e speranza. Grazie a uomini e donne che insieme rammendano l’umano ferito: sono uomini e donne cristiani e musulmani.

Il Centro Betlemme

A Mouda, villaggio di 2mila persone nel nord del Paese africano, sorge il Centro Betlemme, fondato nel 1997 da padre Danilo Fenaroli, 58 anni (di cui 30 trascorsi in Camerun), missionario del Pime (Pontificio Istituto Missioni Estere). Il Centro è una grande struttura residenziale che dà accoglienza, protezione e cura a oltre 200 persone cristiane e musulmane in molti modi ferite. Qui 70 giovani sordomuti possono seguire una scuola a loro dedicata e 50 bambini e ragazzi disabili fisici e mentali (molti autistici) vengono accuditi con competenza e dedizione e pian piano, nel corso degli anni, migliorano acquisendo un poco di autonomia. Qui 70 neonati orfani di mamma (morta durante o subito dopo il parto) crescono sereni prima di tornare, dopo due anni, nelle famiglie di origine e 30 pastorelli orfani, cercati uno ad uno nelle campagne dagli operatori del Centro, studiano e imparano a conoscere la gioia di vivere con i loro coetanei. Qui gli adulti colpiti da disabilità fisica che provengono dai villaggi circostanti e dalla vicina città di Maroua, possono fare fisioterapia in Day hospital e quelli che giungono da lontano risiedono per alcune settimane sino al completamento del ciclo di cura. Qui, inoltre, vivono e imparano un mestiere 150 giovani: è stata infatti fondata una scuola che organizza corsi annuali di falegnameria, edilizia, cucito, tintura, agricoltura e allevamento.

Uniti per accudire

Sono 180 le persone che lavorano al Centro: medici, fisioterapisti, infermieri, insegnanti, assistenti sociali: e sono cristiani e musulmani. Racconta padre Danilo: «Tra tutti noi operatori c’è grande affiatamento, un clima bello di rispetto, concordia e familiarità che, ad esempio, ci porta a festeggiare insieme le rispettive ricorrenze religiose. L’appartenenza religiosa non è motivo di divisione: si lavora uniti. Condividiamo gioie, speranze e fatiche ma, soprattutto, operiamo con dedizione nella consapevolezza di avere una missione comune: accudire e restituire speranza sia a chi patisce per varie forme di disabilità sia ai giovani che vogliono apprendere un mestiere e costruire un futuro buono».

Una domanda

Anche tra i bambini e ragazzi cristiani e musulmani ospitati nel Centro, così come tra le loro famiglie, i rapporti sono sereni: «Noi lavoriamo con impegno per creare un clima accogliente che favorisca legami cordiali e amichevoli», dice padre Danilo, che aggiunge: «Gli adulti musulmani che frequentano il Centro spesso partecipano ai momenti di riflessione e di convivialità che organizziamo e si fermano a conversare con me: più d’uno, con sincera curiosità, mi ha chiesto: “Com’è il vostro Dio?”. È una domanda bella, in certo modo commovente, alla quale rispondo sempre con gioia».

I rapporti con gli imam locali

Tempo fa alcuni imam di Maroua hanno chiesto al vescovo locale di poter visitare il Centro per comprendere com’è organizzata l’assistenza. «È stato un incontro cordiale», afferma il sacerdote: «Gli imam hanno ammirato il nostro lavoro e hanno espresso l’intenzione di offrire, nei pressi delle loro moschee, varie forme di assistenza alle persone più bisognose di aiuto. So che uno di questi imam ha già organizzato la distribuzione settimanale di latte per i bambini delle famiglie povere del quartiere, un gesto che si aggiunge alla pratica dell’elemosina che costituisce uno dei precetti dell’islam». Tra padre Danilo e gli imam di Maroua e dei villaggi circostanti è nata anche una forma di collaborazione per il bene dei giovani: «Da tempo incontro queste autorità per presentare i nostri corsi annuali di formazione, e sono poi loro, che credono molto nel progetto, a contattare i ragazzi sollecitandoli a frequentare la nostra scuola. È un’alleanza molto proficua, di cui sono lieto. Ogni anno poi, alla fine dei corsi, organizziamo una grande festa per gli studenti alla quale gli imam non mancano mai di partecipare».

La disabilità

Il Centro Betlemme è l’unica istituzione ad offrire cura e assistenza ai disabili nel nord del Camerun. Purtroppo – racconta padre Danilo – la disabilità, in particolare quella mentale, qui è sempre stata considerata da tutti, cristiani e musulmani, una maledizione. Prima che sorgesse il Centro Betlemme, i disabili mentali, specie quelli adulti, erano maltrattati, violentemente scherniti, esclusi dalle comunità: vivevano in povere capanne ai margini dei villaggi e non di rado venivano anche incatenati. «Quando giunsi qui, 30 anni fa, e cominciai a girare nei villaggi mi accorsi che in talune comunità non si trovava un solo disabile: scoprii che venivano lasciati morire. Grazie all’attività del Centro lo sguardo sull’handicap sta lentamente cambiando, ma c’è ancora molto da lavorare: noi sosteniamo e coinvolgiamo sia le singole famiglie cristiane e musulmane che vengono periodicamente al Centro per momenti di formazione, sia le comunità affinché i disabili possano rientrare nei loro villaggi ed essere accolti, compresi e accuditi nel modo migliore». Nei villaggi, in particolare, sono organizzati incontri di formazione ed è stata promossa la nascita di associazioni di famiglie cristiane e musulmane che possano seguire, insieme, i disabili che fanno ritorno a casa. Si stanno anche iniziando ad aprire piccoli centri diurni nei quali ci si prende cura dei casi di disabilità meno gravi.

Acadir

In questa zona del Camerun, duramente colpita dai terroristi di Boko Haram, le relazioni tra cristiani e musulmani sono buone, afferma padre Danilo. «Alla nascita di Boko Haram vi furono musulmani che mostrarono qualche interesse e una sorta di comprensione verso questo movimento, ma quando i terroristi hanno iniziato a seminare morte e distruzione, tutti i fedeli islamici – a iniziare dagli imam – hanno preso le distanze e condannato esplicitamente i terroristi sottolineando che quello proclamato da Boko Haram non è il vero islam». A Maroua, intanto, si moltiplicano le attività organizzate dalla sezione regionale di “Acadir”, l’associazione camerunense che si propone di promuovere il dialogo interreligioso ed è composta da cristiani (cattolici, protestanti e ortodossi) e musulmani. L’obiettivo è sostenere e incoraggiare le buone relazioni tra i fedeli delle due religioni e formare i giovani alla pacifica convivenza, promuovendo la conoscenza e il rispetto reciproci, fattori essenziali per edificare comunità coese e fraterne. «La nascita di “Acadir” – conclude padre Danilo – rappresenta un significativo passo avanti per il Camerun poiché testimonia ferma fiducia nel dialogo interreligioso e volontà di percorrere la via della pacifica convivenza».

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