Che la Chiesa del Nicaragua sia nel mirino della repressione violenta messa in atto dal governo sandinista del presidente Daniel Ortega sembra ormai un dato di fatto. Da mediatori a oppositori, vescovi, sacerdoti, frati – impegnati in questi giorni a prestare soccorso alle vittime e ai rifugiati – sono da settimane in cima alla black list delle cosiddette “Turbas”, i gruppi paramilitari filogovernativi, fomentati anche da diversi media che non perdono tempo ad additarli come «traditori».

L’ultimo grave attacco – dopo quello ai danni dell’arcivescovo di Managua, il cardinale Leopoldo Brenes, e del nunzio Waldemar Stanisław Sommertag malmenati e feriti in una chiesa a Diriamba– riguarda ancora un vescovo, Juan Abelardo Mata, 72enne vescovo di Estelì, ex vice presidente della Conferenza episcopale, tra le voci più critiche della presidenza a conduzione familiare del comandante Ortega e membro della commissione episcopale incaricata di mediare il Dialogo tra governo e società civile. Il presule è scampato due giorni fa ad un agguato delle forze paramilitari. Le immagini circolate nei Tg e sul web mostrano la macchina distrutta in diversi punti, finestrini frantumati, ruote forate inutilizzabili. Il vescovo e il suo autista sono rimasti illesi, ma lo shock è grande. In una società poco secolarizzata come quella nicaraguense, dove ancora è forte il rispetto dei pastori e delle gerarchie ecclesiastiche, un attacco diretto a un vescovo è il segno che ogni limite è stato superato e che il Paese, messo in ginocchio da una crisi che dal 19 aprile ad oggi ha provocato circa 350 morti e centinaia di migliaia di feriti, sembra essere sull’orlo del precipizio.

A riguardo, ancora una volta, si è alzata la voce del cardinale Brenes che, dopo aver rassicurato sulle condizioni di Mata («È fuori pericolo, grazie a Dio»), ha affermato: «È triste che questo evento si sia verificato, è una grave mancanza di rispetto che sta avvenendo, è deplorevole e spero che tutto questo possa essere fermato, perché non è possibile che questa situazione continui».

Sempre Brenes ha denunciato l’ingresso di alcuni paramilitari in una chiesa parrocchiale a Masaya, nel municipio di Catarina, nel sud est del Paese. L’attacco non ha provocato né morti né feriti – al contrario di quanto avvenuto due giorni fa nella chiesa della Divina Misericordia, dove si erano rifugiati 200 studenti, due dei quali rimasti uccisi in circostanze da chiarire - ma ha fatto crescere la paura nella popolazione, la maggior parte della quale ha abbandonato le proprie case per rifugiarsi nelle parrocchie. Brenes ha reiterato il suo appello al governo e ai capi di polizia affinché si fermino gli attacchi contro civili innocenti e ha chiesto il rispetto verso gli edifici sacri e altri luoghi di proprietà della Chiesa.

Ma sembra che le parole del porporato siano cadute nel vuoto visto che le forze speciali hanno danneggiato nelle scorse ore la chiesa di san Giovanni Battista, a Masaya e, questa notte, è stata incendiata da un gruppo di uomini non identificati la sede della Caritas nel comune di Sébaco, nella diocesi di Matagalpa. A denunciare quest’ultimo atto vandalico è stato il vescovo, monsignor Rolando José Alvarez, che in un messaggio postato sui social ha scritto: «Rifiutiamo questo e altri attacchi che hanno danneggiato il popolo del Nicaragua e la chiesa nelle ultime settimane».

Ma non finisce qua: il vescovo ausiliare di Managua, monsignor Silvio José Baez, anche lui vittima dell’attacco a Diriamba, ammirabile nel suo sforzo di tenere quotidianamente puntati i riflettori sul dramma del Nicaragua tramite messaggi e appelli sul web, ha denunciato pochi minuti fa su Twitter un assalto di forze congiunte (paramilitari, polizia antisommossa e forze dell’ordine) nel quartiere indigeno di Monimbó, in provincia di Masaya, una delle località maggiormente colpite da scontri e proteste, esattamente nella parrocchia di Maria Maddalena dove sembra essersi rifugiato un sacerdote. «Stop alla repressione! La mia preghiera per questo amato popolo», ha scritto il vescovo, aggiungendo in un altro tweet: «Possa Daniel Ortega fermare il massacro».

L’appello è stato raccolto dall’ambasciatore Carlos Trujillo che ha fatto sapere che l’esecutivo del Nicaragua dovrà «rendere conto» dei «ripetuti atti di violenza e di repressione» che «condurranno soltanto ad un maggiore isolamento e a sanzioni». «Bisogna fermare immediatamente questo genocidio!», ha scritto su Twitter il diplomatico tramite il quale la Casa Bianca ha avanzato la richiesta ad Ortega di indire elezioni anticipate, come richiesto dalla popolazione che auspica le dimissioni del presidente, come via d’uscita dalla crisi.

Da parte sua la Conferenza episcopale nicaraguense, come comunicato nel documento pubblicato lo scorso 14 luglio, ribadisce che – nonostante gli attacchi e le violenze dirette – proseguirà il suo ruolo di mediazione, precisando tuttavia che: «È nostro dovere informare la nazione che durante questi mesi abbiamo assistito alla mancanza di volontà politica del governo di dialogare sinceramente e di cercare processi reali che ci portano verso una democrazia».

Intorno ai vescovi si sono stretti gli episcopati dei Paesi limitrofi. L’ultimo in ordine di tempo, è l’arcivescovo di San Salvador, il cardinale Gregorio Rosa Chavez, che ha diffuso un videomessaggio in cui afferma: «Il Salvador ha elevato preghiere per chiedere al beato Romero di intercedere per il popolo e per i religiosi del Nicaragua». Proprio in virtù della testimonianza del vescovo martire, ucciso dagli squadroni della morte in Salvador nel 1980 mentre celebrava messa e santo il prossimo ottobre, il Salvador «sa cosa significhi avere dei martiri» e condivide «il dolore e il calvario del Nicaragua». «Speriamo – ha detto il cardinale - che questo popolo, che desidera pace, giustizia e riconciliazione, abbia un giorno la sua resurrezione».

Intanto, mentre in Vaticano la situazione del Paese centroamericano viene monitorata costantemente, si attendono i risultati della sessione straordinaria dell’Organizzazione degli Stati Americani (Osa) indetta per oggi. Il direttore della sezione delle Americhe della “Human Right Watch”, J. M. Vivanco, si è mostrato fiducioso per la proposta di risoluzione presentata dall’Osa sui diritti umani che, ha detto, potrebbe influire positivamente sulla situazione politica.

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