«Un santo», uno di quei «santi della vita ordinaria» di cui parla Papa Francesco. «Un uomo fedele», rimasto sempre un po’ all’ombra nella diocesi che trascorreva i giorni e le notti ad annotare a mano, su fogli di carta, riflessioni sul Vangelo. Un prete «affettuoso» con i parrocchiani che non mancava tuttavia di bacchettare quando arrivavano tardi a messa e che ha intessuto buoni rapporti con tutti, anche i fedeli delle altre confessioni.  

La voce di monsignor Dominique Lebrun, vescovo di Rouen, si incrina mentre ricorda con Vatican Insider la figura di padre Jacques Hamel, il sacerdote 86enne che solo in pochi conoscevano fino alle 9 del mattino del 26 luglio di due anni fa. La sua barbara uccisione da parte di due giovanissimi estremisti affiliati allo Stato Islamico che lo hanno sgozzato mentre celebrava una messa mattutina, con cinque persone anziane, nella sua parrocchia a Saint-Etienne-du-Rouvray a Rouen, lo hanno reso un simbolo universale di martirio che ancora oggi viene celebrato in tutta la Francia e nel mondo.

Tanto che lo stesso Papa Francesco volle offrire per lui una messa di suffragio nella Casa Santa Marta concelebrata con Lebrun, alla presenza dei parenti del parroco 86enne venuti dalla Normandia. In quell’occasione Bergoglio, ricordando questo «uomo buono, mite, di fratellanza, che sempre cercava di fare la pace», «assassinato come se fosse un criminale», emblema di quel «filo satanico» che lega tutte le persecuzioni ai cristiani, annunciò la decisione di proclamarlo al più presto beato. Perché lui, disse il Papa, «è un martire! E i martiri sono beati». «Dobbiamo pregarlo», aggiunse Francesco, perché «ci dia la mitezza, la fratellanza, la pace, e anche il coraggio di dire la verità: uccidere in nome di Dio è satanico».

La causa di canonizzazione di padre Hamel è stata quindi aperta appena un anno dopo l’assassinio, il 13 aprile 2017, grazie alla dispensa papale dei cinque anni necessari per l’apertura del processo. Lebrun ha annunciato la notizia durante una messa del Crisma, accolta dagli applausi e dalle lacrime di chi aveva conosciuto di persona l’anziano sacerdote o chi ne ha appreso la testimonianza mesi dopo l’assassinio. Ad aprile scorso, recandosi in Vaticano con un gruppo di giovani della diocesi in pellegrinaggio a Roma, il vescovo ha incontrato nuovamente il Papa: «Insieme abbiamo ricordato padre Jacques. Sulla causa il Santo Padre mi ha detto: dovete sbrigarvi!», racconta Lebrun.

 

La prima udienza in vista del cammino verso la beatificazione - in corso ora nella prima fase diocesana, prima di passare a Roma alla Congregazione per le Cause dei Santi - si è già svolta lo scorso sabato 21 luglio. Come spiega il vescovo, «sono 69 i testimoni coinvolti nel processo che verranno ascoltati nelle audizioni dei prossimi mesi». Ci sono parenti, altri sacerdoti e parrocchiani, inclusi i testimoni di quell’orrore di due anni fa. «Pensiamo di chiudere la fase diocesana della Causa già nel prossimo inverno e portarla per aprile 2019 a Roma», dice il presule. 

L’aspettativa è di  veder presto padre Hamel elevato agli onori degli altari, dal momento che si tratta di una causa per «martirio» per il quale non è necessario il riconoscimento di un miracolo. Anche se, spiega Lebrun, «sono tante le persone che ci scrivono e ci hanno scritto in questi due anni di aver ricevuto grazie speciali per intercessione di padre Jacques». Queste lettere sono ora nelle mani del postulatore, padre Paul Vigouroux, che ha raccolto intanto una ampia documentazione del Servo di Dio.

«In particolare - rivela il presule - abbiamo ritrovato 500 omelie che abbiamo passato ad una èquipe di teologi. Sono tutte molto brevi, scritte a mano in maniera ordinata, su fogli piegati in due, proprio come si faceva una volta, non c’è nulla scritto al computer!». Si tratta di meditazioni sul Vangelo: «Leggendole quello che mi ha colpito è la semplicità e la freschezza, padre Hamel ci faceva scoprire il Vangelo come una novità, come una cosa presente, ci rendeva contemporanei a Cristo», dice monsignor Lebrun posto alla guida di Rouen solo nove mesi prima dell’assassinio del sacerdote. Non aveva avuto modo, quindi, di conoscerlo approfonditamente: «A parte un incontro personale, molto lungo, l’ho sempre incontrato nelle riunioni diocesane, negli incontri pastorali, ma lui rimaneva sempre un po’ defilato, non si esponeva, partecipava in silenzio».

«Mi colpisce - dice il vescovo - che abbiamo avuto nella nostra diocesi un uomo di santità straordinaria, ma straordinaria nella sua ordinarietà. Padre Jacques Hamel è in questo senso l’incarnazione della Gaudete et exsultate di Papa Francesco.  Noi gli siamo passati accanto senza forse neanche accorgercene, come diceva una volta un nipote». «Dopo 80 anni celebrava la messa con grande fervore, come se fosse sempre la prima volta. Per lui quello era il momento più importante della giornata. Non sopportava infatti che si arrivasse in ritardo. Si figuri che una signora racconta che quel 26 luglio di due anni fa era arrivata in parrocchia con parecchio ritardo, aprendo la porta aveva visto che c’era padre Hamel e per paura di essere rimproverata era andata via. “Quello mi ha salvato”, ripete sempre».

In un comune come quello di Rouen, caratterizzato da una forte presenza di abitanti di origine straniera, l’anziano parroco ha intrattenuto buoni rapporti con tutti, specie con la comunità musulmana. «Molti di loro - racconta Lebrun - si sono resi presenti in questi mesi, erano coinvolti dalla vicenda anche se in un primo momento hanno avuto paura. Paura che noi “non li amassimo più”, come mi confidò una volta un imam».

Tanti rappresentanti del mondo islamico, come pure del mondo ebraico o delle altre Chiese cristiane, insieme ad autorità civili e vescovi francesi o di altri Paesi, hanno inviato biglietti e lettere alla diocesiMolte di queste missive sono anonime. Tutte sono accomunate dalla «reputazione di martire» di cui padre Jacques gode sin dal momento della morte, che avvenne peraltro pochi mesi dopo dagli attentati del 13 novembre del 2015 che avevano sconvolto la Francia e mentre era in corso la Giornata mondiale della Gioventù di Cracovia. La sua fama di santità, sottolinea il vescovo, si è diffusa a macchia d’olio; tutti oggi considerano Hamel «un uomo di fede al servizio di tutta la popolazione, al di là delle appartenenze religiose».

Nessuno, nella laica Francia, si è opposto alla erezione di una scultura in suo onore nel cuore di Rouen lo scorso anno. E questa mattina erano numerosissimi coloro che hanno partecipato alla messa di commemorazione celebrata da monsignor Lebrun a Saint-Étienne-du-Rouvray, nella stessa chiesa e nella stessa ora in cui il sacerdote compieva quello che il Papa ha definito «il sacrificio della Croce». In prima fila c’era anche Roselyne Hamel, la sorella di padre Jacques, che ad aprile 2017 ha partecipato a Roma alla liturgia presieduta dal Papa “in memoria dei Testimoni della fede del XX e XXI secolo”, organizzata da Sant’Egidio nella basilica di San Bartolomeo all’Isola Tiberina dove è custodito anche il breviario originale di padre Jacques. 

«Padre Hamel irradiava con il suo esempio, l’esempio di un servitore fedele e discreto, nel cuore della famiglia, della sua parrocchia, nel cuore di questa città», ha detto il vescovo nella sua omelia. Significativo anche il suo gesto di interrompere per qualche secondo la messa, intorno alle 9.55, dopo aver distribuito la comunione, e dire: «Come raccontano i testimoni, è a questo punto della messa che è avvenuta la tragedia». «È stato un momento molto commovente, al quale è seguito un lungo momento di silenzio», ci spiega il presule.

Prima della messa, intorno alle 8 del mattino, tutti i partecipanti si sono riuniti davanti alla canonica, distante 500 metri dalla chiesa di Saint-Étienne-du-Rouvray, per una processione silenziosa. «Abbiamo voluto ripercorrere il tragitto che padre Jacques faceva ogni mattina», spiega Lebrun. Al termine della funzione, invece, si è svolto un momento più ufficiale con la “Cerimonia repubblicana per la pace e la fraternità” nella piazza antistante la chiesa, che ha visto i discorsi delle autorità, incluso quello del ministro dell’Interno Jacqueline Gourault che ha ricordato non solo Hamel, ma tutti i sacerdoti uccisi nelle diverse parti del mondo. Venticinque in questi sette mesi del 2018. 

La mattinata si è conclusa con un pranzo, offerto dal Comune, «in cui ci siamo ritrovati tutti: dal sindaco alla suora presente al momento dell’assassinio, dai parrocchiani ai deputati, dalle forze dell’ordine ai parenti di padre Jacques. Ci siamo scoperti legati gli uni agli altri, tutti uniti da questa tragedia che ha dato però grandi frutti». 

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