Fabrizio Salini amministratore delegato e Marcello Foa presidente della Rai. Dall’ultimo vertice ristretto tra il premier Conte, i vice Salvini e Di Maio e il ministro dell’Economia Tria arriva la fumata bianca sulla nuova Rai a guida giallo-verde. «Diamo il via alla rivoluzione culturale», esulta Di Maio. «Ora dobbiamo liberarci di raccomandati e parassiti».

La scelta dell’ ad, fortemente voluto dal M5S, era prevista: Salini ha una robusta esperienza di manager in reti come Fox, Sky e La7. A sorpresa invece la scelta di Foa, ex del Giornale, ora ad del gruppo svizzero che pubblica il Corriere del Ticino. È sulla figura del nuovo presidente, vicino alla Lega, che si scatena la bagarre. Foa finisce nel mirino del Pd per le sue opinioni ultrasovraniste espresse su Twitter, compreso il «disgusto» rivolto al presidente Mattarella per le sue posizioni europeiste e alcuni retweet di Francesca Totolo, la influencer che ha inventato la notizia dello smalto della profuga Josepha e che viene finanziata da CasaPound.

Un profilo che scatena polemiche, quello di Foa, indicato dal governo come consigliere, ma destinato a essere nominato presidente martedì dal cda, con l’obiettivo di trovare il giorno dopo i 26 voti necessari in Commissione di vigilanza. I giallo-verdi ne hanno solo 21, e da Forza Italia è gelo su Foa. Nonostante il suo passato al Giornale, pare che Berlusconi sia furioso. «Lo spirito della norma che ho scritto era tutelare le minoranze», ricorda Maurizio Gasparri. «Noi votammo come presidente un uomo della sinistra come Claudio Petruccioli». Ironico il presidente Pd Matteo Orfini: «Cari Salvini e Di Maio, ma Foa lo fate rinunciare oggi o dobbiamo aspettare un paio di giorni?».

Michele Anzaldi, deputato dem esperto di tv, parla di incompatibilità del nuovo presidente «perché è titolare di cariche in società concorrenti alla Rai». E chiede l’intervento di Agcom, Anac e Corte dei Conti. Oltre alla Lega, anche Alessandro Di Battista si schiera a difesa di Foa: «Ha la schiena dritta, non risponderà ai partiti che l’hanno scelto, ma ai cittadini e ci restituirà una Rai libera e di qualità». «Finalmente ci sarà spazio per tutte le voci, è solo l’inizio», gongola Salvini.

Eppure non tutto sembra essere compiuto. La partita politica si sposta ora sulle direzioni dei tg e delle reti. Lega e M5S negano di aver già chiuso il pacchetto, che vede al centro della disputa il Tg1, la cui guida dovrebbe essere espressione del primo partito, dunque dei Cinquestelle. Eppure il Carroccio, dopo aver ceduto su Salini, insiste per la guida del Tg dell’ammiraglia, per consegnarlo nelle mani di Gennaro Sangiuliano, vicedirettore del Tg1 e grande amico di Matteo Salvini (che in alternativa potrebbe essere dirottato sul Tg2). Il M5S rilancia con Peter Gomez e Milena Gabanelli, che però andrebbe con più piacere alla fascia serale un tempo occupata da Enzo Biagi. Aleggia il nome, ma con chance limitate, di Mario Giordano, ex direttore del Tg4, allontanato perché giudicato troppo sovranista e che potrebbe non gradire il tetto dei compensi a 240 mila euro.

Cuore della trattativa è anche il Tgr, abbandonato da Vincenzo Morgante. I leghisti accorti spingono proprio affinché Salvini si concentri sui tg regionali, potentissimi e molto inseriti nel territorio. E per questo si fanno i nomi di Alessandro Casarin e di Roberto Pacchetti, molto quotato in Lombardia. Per quanto riguarda il Tg2 potrebbe avere delle possibilità il mantovano Luciano Ghelfi, mentre il nome di Alessandro Giuli, stimato da Casaleggio, è tra i papabili a un tg. Non il Tg3 in area centrosinistra. Luca Mazzà tenta di resistere, incalzato dal ticket Federica Sciarelli direttrice e Alberto Matano vice in quota M5S. Nel risiko nomine entra anche il nome di Gianfranco Battisti, fortemente voluto dai grillini al vertice di Ferrovie.

I commenti dei lettori