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L’Africa si arma contro i bracconieri

L’Africa si arma contro i bracconieri
Una vita in difesa degli elefanti. Incontro con David Bomben, il ranger esploratore che da 30 anni si batte contro il bracconaggio nell’Africa sub-sahariana
6 minuti di lettura

Seguire la traccia di un animale nella savana africana può condurre molto lontano. Una pista è una armonia interiore, una forma di verità ancestrale - leggi, evoluzione - e un racconto ruvido come le spine di una acacia del bush. Secco, e senza sentimentalismi. E' questa la storia di Davide Bomben, esploratore e ranger che è impegnato in prima persona ad organizzare e dirigere squadre selezionate di ranger armati in alcune delle aree protette più importanti dell'Africa sub-sahariana. Bomben racconta i suoi trenta anni di vita nel bush, e la progressiva militarizzazione della natura africana contro il dilagare di un bracconaggio ben organizzato e capillare, nel ”memoir« appena uscito per Longanesi, ”Sulla pista degli elefanti«. Un libro a tratti anche crudo, perché con 1028 rinoceronti abbattuti dai trafficanti di corno nel 2017 non rimane molto da discutere sulla opportunità di difendere con l'AK 47 ciò che un tempo chiamavamo ”natura«. Bomben lo sa, ed è per questo che nel 2012 ha fondato la Poaching Prevention Academy, la prima accademia itinerante per l'addestramento di unità anti-bracconaggio. La sua stessa formazione sul campo è un ibrido tra corsi di ecologia ed etologia (con il ”mitico« Andreas Liebenberg nella riserva del Timbavati) e il servizio attivo con agenzie private per la sicurezza, in Sudafrica, come la Delta Specialized Task.

 

 

Lei lavora ed ha lavorato in mezza Africa. Ha pure scortato diamanti in Angola. Ma è Ongava, in Namibia, la chiave per comprendere le sue motivazioni di uomo e ranger.

”Ongava è il posto dove vorrò trasferirmi quando riuscirò, dove probabilmente farò spargere le mie ceneri. Quando vi arrivai la prima volta, avevo 19 anni, e fu uno dei miei primissimi tour come guida. Varcai quel cancello e sentii nell'aria qualcosa di straordinario, e quella sensazione, ci vado almeno 10 volte l'anno, la provo ancora. Ha presente quando da piccoli si va a trovare i nonni? Ecco, quella sensazione di casa, di tepore, di grembo materno, la riserva di Ongava è come se fosse un grembo materno che voglio difendere in tutti i modi perché mi fa star bene. Ongava è un luogo magico, e Stuart, il direttore, è il mio fratello namibiano«.

 

Nel suo lavoro si avverte un sentimento di co-appartenenza alla terra, un grande respiro di orizzonte. Qualcosa che per lei è cominciato da subito, dal training massacrante a Retief, nel distretto di Johannesburg, quando imparò a sopravvivere da solo nel bush. Mangiando una vipera arrosto.

”Io vivo una vita e quella è la mia vita. Credo che l'umana natura sia prima natura e poi umana. Dico sempre alle persone che addestro e che incontro: fate della natura la vostra casa, ed è strano dirlo, ma ce lo siamo dimenticati. L'umano ha perso i riti di passaggio, ma l'Africa è ancora piena di passaggi, andare da un posto all'altro, le difficoltà. Il quel corso di sopravvivenza, ciò che fu allucinante per me è stato pensare subito al cibo; ma di fatto poi in 5 giorni non sarei morto di fame, anche senza la trappola per la vipera. Nessuno dei miei compagni era così interessato al cibo, e mi rendo conto che proprio in quel rito di passaggio capii che noi esseri umani cerchiamo sempre di ricreare ciò che abbiamo, le comodità a cui siamo abituati. E la mia comodità era il cibo!«.

 

Qui le armi hanno un ruolo importante.  Ma il suo rapporto con fucili e proiettili cambia nel tempo: all'inizio la curiosità e la conoscenza, e poi la necessità, perché a mani nude gli animali non possono essere difesi.

”Ho avuto tre uomini grandissimi nella mia vita, i miei due nonni e mio padre. Da una parte avevo mio padre che non ha mai sopportato le armi; dall'altra parte un nonno partigiano. Di notte, scappavo dal mio letto per farmi raccontare le sue storie di guerra; e poi nonno Ediliano, il padre di mia madre, che mi ha portato nel mondo delle armi. Quando il sabato e la domenica andavamo da lui, mio nonno mi aspettava e mi faceva pulire le armi per il tiro a volo, era stato un campione ed era anche un cacciatore. Fu lui a parlarmi dell'importanza della protezione della natura«.

 

Un incontro con un rinoceronte femmina ha marcato il suo rito di passaggio.

”È accaduto in Zimbabwe, in un centro di recupero, avevo 12 anni, e non sapevo cosa fosse la paura. Vidi la mia immagine riflessa nel suo occhio, e ancora adesso posso rivivere quel momento, il rinoceronte, enorme, che si appoggia a me come una madre appoggia il suo bambino al seno. Noi siamo totem e tabù. Abbiamo sempre bisogno di risposte, ma spesso quelle che ci stanno davanti sono talmente ovvie che non le notiamo neppure. Le strade con cui abbiamo segnato la terra sono comode, ma sono asfalto e cemento. Dagli animali in Africa ho capito che le specie che mettono la sopravvivenza del singolo di fronte alla sopravvivenza della specie sono votate alla fine e noi come uomini stiamo sempre più pensando alla sopravvivenza del singolo. Purtroppo, noi siamo gli architetti di noi stessi e basta, non architetti della savana come gli elefanti«.

 

 

Nel libro il bracconaggio è sempre sullo sfondo, un silent killer con fatturati impressionanti divisi tra le savane e i mercati neri del Sud Est Asiatico, della Cina e dell'Europa. Quanto è cambiata l'Africa in questi ultimi 30 anni?

”Ricordo a 5 anni l'attraversamento del Namib Desert con mio padre. Prendiamo una buca, perdiamo il set per cucinare, e quella sera mio padre staccò la targa della macchina, la bucò e sopra a quella cucinammo la carne. Questo non esiste più. Arusha in Tanzania la vidi la prima volta a 9 anni, l'ultima l'anno scorso: adesso ci sono 2 milioni e mezzo di abitanti quasi tutti legati al turismo. Devo essere concreto, non sono un sognatore romantico. Il concetto vero e puro nella mia lotta non sta nel salviamo gli animali, perché in ogni problema in cui i due contendenti sono uomini e animali entrambi devono far parte della soluzione. L'umanità cresce. L'Africa sta arrivando a numeri di popolazione non più sostenibili. Il turismo è una driving force incredibile, ogni dollaro speso in africa in due anni diventa 3 dollari se ben utilizzato, sotto forma di formazione scolastica e miglioramento delle condizioni di vita. Per questo io parlo non solo di biodiversità, ma di bio-ricchezzadel continente africano«.

 

 

Questo libro pone, accanto alla questione del bracconaggio, con 100 ranger morti nel 2017 di cui la metà africani, la grande questione delle riserve. D'accordo le superstizioni sulle qualità afrodisiache del corno di rinoceronte, ma più la nostra fame di spazio si espande, più le aree protette, e le loro faune, diventano prede per fare profitto su ciò che è sempre più raro.

”Finché il valore dell'animale morto sarà superiore a quello dell'animale vivo continueremo solo a combattere una guerra di arginamento; allora, o tutti diventiamo filantropi ed animalisti, oppure guardiamoci in faccia e costruiamo delle economie attorno alle risorse faunistiche. Bisogna farlo perché è giusto farlo, l'ho detto per tanti anni. Ma il conservazionista è tale perché ha la pancia piena e la testa vuota di problemi, se sei nella situazione opposta, parlare di amare un valore in quanto valore non funziona. Bisogna creare un valore con cui si può campare. Il presidente del Kenya ha proposto la reintroduzione della pena di morte per il bracconaggio. Siamo stati chiamati dalla contea di Samburu per addestrare 200 ranger divisi in 6 hot spot tra aree protette e parchi. Vorremmo che molti Paesi imparassero dal Kenya, che fu il primo paese a militarizzare la conservazione con Richard Leakey che inserì il concetto di pattugliamento a plotone per i ranger«.

 

 

Lei conosce molto bene almeno tre scacchieri geografici: la Namibia, dove è cresciuto, il Botswana, perché ha lavorato con Wilderness Safaris, che ha le concessioni turistiche più spettacolari del Paese, e il Sudafrica, dove ha imparato molto di ciò che sa sulla gestione delle riserve. Vede delle differenze nelle prospettive del dare valore agli animali?

”La Namibia è tre volte e mezza l'Italia, ed ha la grande fortuna di soli 2 milioni e duecentomila abitanti. Nel 1990 è stato il primo Paese africano ad inserire in Costituzione un articolo che sancisce il dovere, per chiunque visiti il Paese, di essere responsabile della protezione di ciò che vede. La Namibia funzionerà sempre perché ha la volontà di questa attenzione. Il Sudafrica è il Paese con più turisti per singolo safari in tutto il continente, perché il Kruger è il Kruger, il parco più visitato del continente africano, con una percentuale elevatissima di rinoceronti in Africa, a metà strada tra la povertà massacrante del Mozambico e la triste realtà dello Zimbabwe. In Sudafrica lavoriamo al Pilanesberg, il secondo per importanza e numeri, e la riserva del Thornybush, di una bellezza da mettere i brividi. Un tempo era recintata, ma sei anni fa abbiamo deciso di aprire al Kruger nonostante i rischi di infiltrazione armata; gli animali si spostano, spendiamo ogni anno 250mila euro per la loro sicurezza contro i bracconieri. Due anni fa abbiamo spostato qui 9 rinoceronti da una riserva che aveva grossi problemi di bracconaggio. La Thornybush ha un team privato di ranger e noi facciamo da monitor, l'azienda incaricata non sa neppure dove stiamo pattugliando. Alla Thornybush sono arrivati addirittura i licaoni«.

 

 

Armi e spazio a sufficienza, questo sembra essere il cocktail del XXI secolo. Un capitolo del libro è ”A difesa delle riserve2. Perché proteggerle militarmente è strategico?

”Le riserve private sono fondamentali, rendono più difficile il bracconaggio. In queste riserve il governo non deve spendere soldi. Se mi chiede delle riserve dove si pratica il

culling
, ossia l'abbattimento controllato degli animali in esubero, posso dire che in una riserva come Thornybush non esisterà mai il
culling
, perché non ce ne è bisogno. Alla Thornybush avevamo un leone veramente unico. Si dà sempre un range di peso per misurare un leone, e se il massimo è 250 chili, questo era 251 ! Lo chiamavamo Black Diamond per la sua enorme criniera nera. Be', un giorno ha preso e se ne è andato. Ha trovato una nuova famiglia nel Timbavati. E ne sono arrivati altri due. Bisogna fare una scelta anche a livello turistico, privilegiare le riserve a seconda del tipo di gestione, e cioè seguire il modello degli animali liberi di spostarsi.

Quando tenevo corsi all'università di Padova, dicevo agli studenti, ricordatevi che etologia vuol dire coinvolgimento emotivo, le emozioni degli animali contano eccome, come ha dimostrato l'esito catastrofico del culling negli anni '90 sugli elefanti della Hluluwe Umfolozi, in Sudafrica. Vanno creati parchi transfrontalieri, questo ci ha insegnato il

culling
. Pensi al KAZA - Kavango Zambesi, 500 mila chilometri quadrati di parco, più grande dell'Italia. Lascia fare alla natura, apri i confini, allarga e falli muovere, ecco il futuro«.

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