Monaci e monache della Chiesa copta ortodossa, nessuno escluso, hanno un mese di tempo per chiudere gli account personali e gli eventuali blog da essi gestiti sui social media, come Facebook e Twitter. Entro quel termine di tempo dovranno prendere congedo dalle forme di comunicazione considerate non appropriate alla vita monastica, se non vogliono incorrere in pene canoniche. È questa la disposizione destinata a far più clamore tra le 12 regole ratificate dal patriarca Tawadros II per tutti coloro che vivono la condizione monastica nella Chiesa copta ortodossa, dopo il recente assassinio del vescovo Epifanio, massacrato - probabilmente a coltellate - nel monastero di San Macario, di cui era abate.

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La morte violenta di Anba Epifanio ha impresso una brusca accelerazione al profondo ripensamento sulla vita monastica già avviato nella Chiesa copta da papa Tawadros. Il martirio del vescovo abate non è dovuto a qualche tagliagole jihadista. Il suo carnefice, stavolta, appartiene con ogni probabilità alla cerchia di persone che vivono nel monastero o che lo frequentano abitualmente.

Negli ultimi decenni, la rinascita della vita monastica copta è stata per milioni di egiziani lo strumento per riscoprire il tesoro della fede cristiana, custodito nei secoli della dominazione musulmana. Ma diversi fattori, e anche lotte e contrapposizioni all’interno della Chiesa, rischiano di dissipare tanta ricchezza e fecondità spirituale, come spesso avviene negli apparati ecclesiali e clericali, portati per inerzia a occultare la propria dipendenza dalla grazia e a cadere in forme di presuntuosa autoreferenzialità.

Le 12 nuove disposizioni per i monaci copti sono state formulate dal Comitato per i monasteri e la vita monastica del Santo Sinodo copto, convocato da Tawadros e a cui hanno preso parte 19 tra vescovi e capi dei monasteri. Le misure puntano a custodire la vita monastica nel suo tradizionale tratto di condizione appartata dalle frenesie mondane, scandita da momenti di preghiera, lavoro e silenzio. Per questo viene chiesto ai monaci anche di ritirarsi dai social media, che nella Chiesa copta erano diventati spesso strumento per diffondere «idee confuse» e alimentare polemiche personali e dispute pseudo-dottrinali.

Tra le altre disposizioni, figurano anche l’ordine di sospendere per un anno l’accettazione di nuovi candidati alla vita monastica, e quello di bloccare per tre anni le ordinazioni sacerdotali dei monaci. Si dispone lo stop alla creazione di nuove comunità monastiche non autorizzate; si regolamentano in maniera più stretta i tempi di accesso di visitatori e pellegrini ai monasteri, tenendo conto dei giorni di digiuno, preghiera e silenzio che scandiscono la vita monastica; si proibisce ai singoli monaci e monache di ricevere donazioni dai fedeli – che possono essere raccolte solo dall’abate o dalla badessa del monastero – e di coinvolgersi in progetti economici e compiti che non siano stati loro assegnati dalla comunità di appartenenza e dai propri superiori; si stabilisce che anche le uscite e i periodi trascorsi fuori dal monastero devono sempre essere autorizzati da chi guida la comunità monastica. Vengono anche annunciate disposizioni volte a determinare il numero massimo di monaci o monache ammessi a ogni singolo monastero, per garantire una convivenza ordinata e tranquilla in seno a ogni comunità.

Dopo le disposizioni ratificate dal patriarca, anche altri esponenti della gerarchia copta – come il vescovo Raphael – hanno annunciato la chiusura dei propri account e blog personali online, confermando che d’ora in poi si potrà comunicare con loro attraverso strumenti di comunicazione tradizionali, come il telefono.

Lo stop al presenzialismo on-line dei monaci e delle monache copti è ovviamente legato alla stagione emergenziale apertasi per la vita monastica della Chiesa copta dopo l’assassinio di Anba Epifanio. Ma rivela anche una certa affinità con i crescenti allarmi riguardo agli effetti dei social media sull’ordinarietà della vita ecclesiale, avvertiti in seno a diverse comunità cristiane. Mentre in Occidente continuano ad avere buon mercato le retoriche dell’evangelizzazione via internet, la Chiesa maronita già a febbraio ha diffuso un documento magisteriale per provare a arginare il dilagare delle zuffe e dei pestaggi intra ecclesiali online su questioni dottrinali, che intrigano soprattutto preti, religiosi, sedicenti esperti e “addetti ai lavori”, santoni e piccoli inquisitori da tastiera.

Il fenomeno delle parole cristiane distorte nelle guerricciole para-dottrinali on-line ha richiamato di recente anche la sollecitudine pastorale di Papa Francesco: «Anche i cristiani - scrive il Vescovo di Roma nella Gaudete et Exsultate, l’esortazione apostolica da lui firmata lo scorso 19 marzo - possono partecipare a reti di violenza verbale mediante internet e i diversi ambiti o spazi di interscambio digitale. Persino nei media cattolici si possono eccedere i limiti, si tollerano la diffamazione e la calunnia, e sembrano esclusi ogni etica e ogni rispetto per il buon nome altrui. Così si verifica un pericoloso dualismo, perché in queste reti si dicono cose che non sarebbero tollerabili nella vita pubblica, e si cerca di compensare le proprie insoddisfazioni scaricando con rabbia i desideri di vendetta. È significativo che a volte, pretendendo di difendere altri comandamenti, si passi sopra completamente all’ottavo: “Non dire falsa testimonianzaˮ, e si distrugga l’immagine altrui senza pietà».

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