Un bilancio estremamente positivo quello di James Keenan SJ del convegno del Catholic Theological Ethics in the World Church (Ctewc) che si è recentemente concluso a Sarajevo, di cui è stato promotore e coordinatore. L’evento ha registrato la partecipazione di circa 500 teologi morali provenienti da più di 70 Paesi per discutere di morale cattolica nell’oggi del mondo in un clima interculturale e intergenerazionale, seguendo il tema di “Costruire ponti e non muri”. Keenan, licenza alla Gregoriana con Klaus Demmer e dottorato con Josef Fuchs, attualmente professore di Teologia morale al Boston College, ha vinto nel 2000 il “Catholic Press Award” per il miglior lavoro in teologia pastorale ed etica cattolica sulla prevenzione dell’Hiv. Già docente a contratto in Gregoriana e quindi alla Loyola School of Theology di Manila e al Dharmaram Vidya Kshetram di Bangalore, in qualità di presidente del Ctewc nel mese di luglio 2006 aveva organizzato il primo Convegno a Padova e nel 2010 a Trento.

Padre Keenan ci può spiegare perché questo Congresso internazionale a Sarajevo è stato capace di destare una così grande attenzione e ha mosso Papa Francesco a inviare una lettera tanto significativa ai partecipanti?

«In marzo 2017 alcuni membri del “Planning committee” del Catholic Theological Ethics in the World Church hanno avuto l’occasione di incontrare Papa Francesco e di parlare con lui per quasi un’ora. Gli abbiamo raccontato del Convegno di Sarajevo che stavamo preparando, un evento dove erano attese oltre 450 persone provenienti da quasi 80 Paesi. Lui ha immediatamente intravisto l’importanza di questo incontro in particolare in quell’espressione del “costruire ponti”. Ha potuto constatare che lo stile del nostro convegno non era solo quello di ascoltare i discorsi di esperti di fama, quanto piuttosto quello di abilitare i partecipanti ad intervenire nel discorso pubblico al fine di favorire processi di riconciliazione e approfondire le relazioni con altre reti internazionali come, per fare qualche esempio, il “Doctor without borders”, Celam, Achtus e altre. Papa Bergoglio era consapevole che il nostro intento di organizzare un congresso per modificare l’approccio dei moralisti a certi temi fosse importante e necessario: non più mere ricerche teologiche, ma di essere in grado di condividere le riflessioni con tutti i membri della Chiesa e della società».

Il vostro network è conosciuto per la volontà di affrontare questioni e temi di stretta attualità dove l’etica è chiamata a riflettere per offrire il proprio contributo alla costruzione di un mondo migliore. Come siete giunti alla scelta del tema di questa edizione?

«Il tema è maturato in due fasi. La prima: dopo l’incontro mondiale a Trento nel 2010 abbiamo avuto congressi regionali nei vari continenti: a Berlino e Cracovia, a Bangalore, a Nairobi e a Bogotà. In tutte le sedi abbiamo constatato che dappertutto nel mondo si discutevano soprattutto due temi considerati urgenti: la questione migratoria e la questione della sostenibilità. Quando in marzo 2017 abbiamo visitato sei Dicasteri vaticani e incontrato i rispettivi cardinali, e abbiamo avuto anche la bellissima occasione di incontrare il Papa stesso, abbiamo verificato che questi due temi erano veramente urgenti a livello mondiale e stiano a cuore non solo al pontefice personalmente, ma all’intera Chiesa universale. Poi abbiamo riflettuto anche su fatto che negli ultimi anni sono sopraggiunti alcuni sviluppi a livello politico globale che consideriamo molto preoccupanti: Putin in Russia e Trump in Usa, Duterte sulle Philippine, Orban in Ungheria, Modi in India sono solo alcuni nomi che rappresentano nuove forme di nazionalismo e populismo. Anche la Brexit rientra in questa nuova realtà. Tutti questi fenomeni hanno in comune la caratteristica di porsi contro i migranti, sono politici di matrice xenofoba che non si curano neppure di uno sviluppo globale sostenibile, ma si rinchiudono su se stessi: mettendo i propri interessi al primo posto non si curano affatto del bene comune a livello globale. Perciò, in una seconda fase, abbiamo riflettuto su come poter dare un forte contrappeso per arginare questi sviluppi mettendo al centro l’impegno di unire e non dividere, creare ponti e non muri».

La necessità di costruire ponti e non muri è un’urgenza che sale da vari strati della comunità civile. Nella vostra riflessione vi siete domandati come sia possibile che a più di 70 anni dalla fine della Seconda Guerra mondiale l’umanità sia giunta a questo punto? Quali le cause di questo ripiegamento su se stessi e sui propri privilegi soprattutto nel mondo ricco del Nord?

«Lo vediamo come delle forme di reazioni negative intese come “contro” qualcuno o qualcosa: Trump è una risposta contraria ad Obama, la Brexit una risposta contraria alla Comunità europea, il nazionalismo una risposta contraria alla globalizzazione, il populismo una risposta contraria alla complessità delle situazioni, Putin una risposta contraria alla caduta del muro di Berlino. Per questo motivo crediamo di dover rispondere proprio per mettere in evidenza i valori positivi che ora stiamo gravemente mettendo a rischio. Le risposte negative e contrarie sopra ricordate non rappresentano infatti una soluzione ai problemi sul tappeto: per questo occorre cercare di offrire un messaggio positivo e non solo critico ai fenomeni di oggi. Dobbiamo trovare il coraggio di affrontare i problemi veri che hanno favorito il sorgere di questo ripiegamento su se stessi. E ricordare anche che questo ripiegamento non è solo frutto di problemi, ma alimenta anche la creazione di altri nuovi problemi».

Il tema delle migrazioni continua a spaccare in due le società occidentali da una parte all’altra dell’Atlantico. Come si può aiutare la politica ad uscire dalla logica dell’emergenza e dalla volontà di assecondare i timori dei cittadini elettori per rivolgere piuttosto le energie verso la costruzione di un mondo all’insegna delle relazioni, del dialogo e dell’incontro?

«Il convegno ha avuto come scopo quello di aiutare gli studiosi di teologia morale a entrare nel discorso pubblico. Finora troppo spesso come teologi abbiamo discusso tra di noi, ma questa volta il nostro intento era proprio quello di preparare i moralisti a intervenire nella discussione pubblica. Lo stile di fare teologia e riflettere eticamente deve essere molto più diretto per tutti i cattolici. Dobbiamo entrare in un dialogo immediato con i cittadini elettori e i fedeli per cogliere le loro preoccupazioni, ma anche per offrire una risposta di speranza. Per tale scopo è stato davvero interessante l’incontro di teologi provenienti da ogni parte del mondo, sia da paesi africani, asiatici e latino-americani da dove partono i migranti come da paesi del ricco Nord, specialmente Usa ed Europa. Mentre nel Nord usiamo spesso il paradigma della “ospitalità”, i paesi del sud parlano di “solidarietà”, perché, giustamente, ci ricordano che la terra è il luogo della convivenza di tutti gli uomini, e che i beni della terra sono destinati per il bene comune di tutti i popoli. Mentre oggi non vediamo che non è affatto così. E le migrazioni lo dimostrano».

In linea con l’impostazione di fondo della Laudato si’, avete sottolineato con forza la stretta correlazione fra il degrado dell’ambiente e il degrado delle relazioni umane. Nel 2008 un documento Comece indicava la questione ecologica come uno dei principali problemi di etica pubblica. Non le sembra che oggi sia un’affermazione ancora lontana dall’essere acquisita non solo dai decisori politici, ma anche da tanti cittadini, che pure si dichiarano cristiani?

«Questa è una domanda interessante perché il tema desta preoccupazione: perché molti politici e pure cittadini cristiani non sono in grado di capire l’urgenza della questione ecologica? Io sono convinto che molti vedano sì l’urgenza del tema, ma non siano ancora in grado di collegarlo al proprio stile di vita e per questo motivo mancano delle scelte necessarie per attuare un profondo cambiamento dei propri stili di vita. È una questione di educazione alla propria responsabilità. Bisogna però anche riconoscere che dobbiamo essere noi a responsabilizzare le persone per essere capaci di operare questa conversione: in molti casi forse non si tratta tanto di una questione di mancanza di volontà, ma semplicemente di un deficit di conoscenza sul come e cosa fare. Quanti parlano del cambiamento climatico spesso danno l’impressione di avere in tasca delle risposte ad ogni problema e di conseguenza molti semplicemente non hanno voglia di ascoltarli. Noi dobbiamo imparare a comunicare meglio: per fare un esempio non possiamo parlare attraverso concetti astratti, ma attraverso modelli narrativi e storie concrete di persone che sono già oggi gravemente colpite dai problemi ecologici».

Parlare di ambiente, migrazioni dei popoli, accoglienza e integrazione delle persone significa preoccuparsi per la vita autentica a 360°: come mai a livello di comunità ecclesiale si assiste ancora ad uno scollamento tra quanti affermano di difendere la vita (intendendo la lotta contro l’aborto e l’eutanasia) e quanti si occupano di una difesa globale che riguarda la sopravvivenza dei migranti, delle popolazioni dei Paesi impoveriti, di un ambiente degradato?

«È vero: l’atteggiamento nei confronti dei migranti e dei problemi di sviluppo globale che minacciano le vite di molte persone povere rivela chi è autenticamente “pro life”, cioè per la vita nel vero senso della parola. La nostra difesa della vita umana inizia sì nel grembo materno, ma non finisce lì. Abbiamo visto già vent’anni fa quando Giovanni Paolo II ha chiesto la sospensione della pena di morte, molte delle voci “pro life” sono rimaste in silenzio. Invece la vita umana continua anche dopo la gravidanza e la nascita e perciò l’impegno per la vita include sì il feto, ma anche i condannati a morte, i poveri, i migranti ecc. È interessante vedere come di nuovo alcune voci che si dichiarano “pro life” ora tacciono. Dobbiamo però riconoscere che, per fortuna, ci sono anche alcuni sostenitori dei movimenti per la vita che difendono i diritti umani non solo del feto, ma anche dei migranti e di tutti gli altri poveri ai margini della società».

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