La luminosissima stella apparsa nel 1604, nota come “supernova di Keplero”, fu accesa dalla fusione di due “cadaveri” stellari che unendosi determinarono la massa critica necessaria per generare la spettacolare esplosione. Propone questo scenario l’ultimo numero della rivista The Astrophysical Journal nell’articolo “No surviving companion in Kepler's supernova” di Pilar Ruiz Lapuente e collaboratori (tra i quali troviamo gli italiani Luigi Bedin e Francesco Damiani).

Secondo la teoria classica la supernova di Keplero è frutto dell'esplosione di una stella nana bianca in un sistema binario: la nana avrebbe risucchiato materiale dalla compagna fino a raggiungere la massa critica di Chandrasekhar (1,44 masse solari) che determina il collasso in una stella di neutroni, l’espulsione esplosiva degli strati esterni e un enorme aumento di luminosità (pari a 5 miliardi di stelle come il Sole). L'onda d’urto di questa gigantesca bomba termonucleare cosmica avrebbe aumentato la luminosità e la velocità del compagno superstite, che sarebbe stato scaraventato nello spazio circostante e sarebbe stato contaminato dai materiali proiettati intorno. Il team è quindi andato alla ricerca di stelle con qualche anomalia per identificare l’eventuale compagno della nana bianca esplosa 414 anni fa. Ma non l’hanno trovato. Non esiste una stella superstite. Di qui la nuova interpretazione di quell’evento eccezionale.

 

Indagate 32 stelle: tutte “innocenti”

Lo studio ha utilizzato immagini ottenute con il telescopio spaziale “Hubble” della NASA e con il Very Large Telescope (VLT) europeo in Cile. “Lo scopo – dice Luigi Bedin, astronomo dell’Inaf di Padova – era determinare i moti di un gruppo di 32 stelle nella regione del resto di supernova che tuttora osserviamo” (foto). “Abbiamo cercato - spiega Pilar Ruiz-Lapuente dell’Istituto di Scienze del Cosmo di Barcellona - una stella peculiare quale possibile compagna del progenitore della supernova di Keplero, e per questo abbiamo caratterizzato tutte le stelle in prossimità del resto della supernova SN 1604. Ma non ne abbiamo trovato nessuna con le caratteristiche attese. Quindi tutto indica che l'esplosione stata fu causata dalla fusione della nana bianca con un'altra nana bianca oppure con il nucleo stellare di una compagna già evoluta”.

 

Alla faccia di Aristotele

La supernova del 1604, esplosa a 16 300 anni luce da noi, l’ultima osservata nella Via Lattea, segna lo spartiacque tra l’astronomia antica e l’astronomia moderna: fu allora che nello studio degli astri l’osservazione incominciò a prevalere sui preconcetti filosofici e sui dogmi religiosi. A Keplero e Galileo sfuggì l’avvistamento ma ben presto i due si avventurarono nella controversa interpretazione di quanto stava avvenendo in cielo e, pur divergendo nella spiegazione, su una cosa si trovarono d’accordo: quella luce non brillava nel corruttibile mondo sublunare ma nel cielo più remoto, quello delle stelle fisse, ritenuto immutabile. Alla faccia di Aristotele, di Tolomeo e della dottrina cattolica.

Per una singolare coincidenza, nell’autunno del 1604 molti astronomi tenevano d’occhio l’angolo di cielo dove sarebbe apparsa la nuova stella, e cioè nella zona del piede del Serpentario (Ophiucus). Lì, poco sopra l’orizzonte occidentale, nelle brume della sera, Giove e Saturno andavano a incontrarsi in una delle loro spettacolari congiunzioni che ricorrono ogni vent’anni, circostanza attesa non solo per trarre oroscopi ma anche per verificare se corrispondesse meglio alla realtà il sistema tolemaico o quello copernicano. In più, pure Marte si trovava a passare da quelle parti: il 9 ottobre avrebbe raggiunto Giove, pochi giorni dopo essersi allontanato da Saturno. Un triangolo di pianeti irresistibile.

La supernova si accese proprio il 9 ottobre 3 gradi a ovest di Marte e Giove e 4 a est di Saturno. Baldassar Capra, da sempre rivale di Galileo, rivendica di essere stato il primo a osservare l’astro mirabolante il 10 ottobre, insieme con il calabrese Camillo Sasso e il suo maestro Simon Mayr. La priorità spetterebbe però al monaco Ilario Altobelli, che dichiarò di aver avvistato la nuova stella il 9 ottobre osservando il cielo da Verona. Da Praga il 10 ottobre la notò anche Johannes Brunowski, un allievo di Keplero. Poco dopo, ma non abbiamo date precise, fu la volta di Peiresc, che scrive a Paolo Gualdo: “Nell’ottobre scorso ero in un piccolo paese chiamato Belgentier quando mi accorsi della nuova stella vicino a Giove, a occidente... Scintillava, e ciò mi fece concludere che si trattava di una stella fissa”. Con questa notazione Nicolas-Claude Fabri de Peiresc, astronomo, botanico e numismatico vissuto in Provenza dal 1580 al 1637, era già arrivato al nocciolo del problema: la supernova del 1604 faceva vacillare l’astronomia “ufficiale”.

 

Il ritardo di Galileo

Colto in contropiede, Galileo incomincia a osservare la “nova et peregrina luce” il 15 ottobre su segnalazione di Giacomo Alvise Cornaro, che a sua volta avrebbe ricevuto l’imbeccata da Baldassar Capra. Imbarazzato dal ritardo, si giustificherà scrivendo: “Niente digrada all’ufizio di matematico il non aver veduta la prima apparizione della Stella; quasi che lui sia in obbligo lo stare tutta la notte ad osservare per tutta la sua vita”.

Keplero aveva saputo della stella nuova la mattina di lunedì 11 ottobre da Brunowsky. Purtroppo quella sera il cielo si rannuvolò e il tempo fu cattivo fino al 17 ottobre. Arrivò quindi due giorni dopo Galileo, e lavorò con un sestante di ferro malconcio che dava un errore sistematico di 4’.  Ma la cosa più sgradevole fu che per avere accesso a quello strumento dovette compiere le sue osservazioni con Franz Tengnagel, l’insopportabile cognato di Tycho Brahe, noto per la sua stupida arroganza.

A fine ottobre tutti persero di vista la stella perché ormai tramontava quando il Sole era appena sotto l’orizzonte: la luce del crepuscolo e la rifrazione atmosferica impedivano le osservazioni. Nuovamente avvistata qualche mese dopo prima dell’alba, fu possibile seguirne il lento declino di luminosità fino a 18 mesi dall’apparizione. A questo punto i dati raccolti erano sufficienti per confermare le conclusioni più importanti tratte fin dalle prime settimane: non c’era parallasse, e quindi l’astro doveva essere molto lontano; la stella non si muoveva, dunque non era una cometa né un pianeta sconosciuto; e la sua luce palpitava con la scintillazione tipica delle sorgenti luminose puntiformi.

 

Quattro secoli dalla III legge di Keplero

La nuova interpretazione della supernova di Keplero annunciata sull’”Astrophysical Journal” arriva a 400 anni esatti dall’ultima fondamentale scoperta dell’astronomo tedesco, datata 15 maggio 1618: la terza legge del moto dei pianeti, che stabilisce la costanza del rapporto tra il cubo del semiasse maggiore dell’orbita di un pianeta e il quadrato della sua distanza dal Sole. Keplero pubblicò la terza legge l’anno seguente in “Armonices mundi Libri V”, un’opera in cui come sempre mescola razionalità e visione magica dell’universo. Questa volta si concentra su presunte connessioni tra l’armonia musicale, le forme geometriche e fenomeni fisici come il moto dei pianeti. Benché geniale, Keplero rimane un uomo del suo tempo: la sua concezione del mondo è olistica, astrologia e astronomia sfumano l’una nell’altra, i destini dell’umanità stanno dentro un enigmatico disegno cosmico.  

Mentre concepiva “Harmonices mundi”, Keplero non aveva armonia intorno a sé. Nel 1611 era morta la sua prima moglie, Barbara Muller, che aveva sposato nel 1597 quando era già due volte vedova pur avendo solo 23 anni. Lui era povero, lei ricca. La famiglia della sposa disapprovò quel matrimonio e per punizione non le diede la dote che le spettava. Da Barbara Keplero ebbe cinque figli. Due non superarono la prima infanzia. Alla morte del terzo per vaiolo, Barbara diede segni di follia, ebbe crisi epilettiche e poco dopo morì di tifo all’età di 37 anni.

 

Come si sceglie la seconda moglie

La vita coniugale era stata infelice. Nonostante ciò Keplero decise di convolare a seconde nozze. Una volta, a un tale che gli chiedeva un oroscopo matrimoniale, aveva risposto: “Non troverai moglie tra gli astri perché è la Terra che partorisce questo tipo di animale”. Coerente con la sua brutale affermazione, si cautelò valutando la scelta in modo scientifico. Selezionò la sposa tra undici candidate soppesandole secondo una lista di pregi (operosità, viso gradevole, onestà della madre, resistenza alla fatica) e difetti (superbia, propensione a spendere molto denaro, lineamenti volgari, malanni polmonari).

Vinse Susanna, un’orfana di 24 anni che descrive così: “nessuna superbia, nessuna dissipatezza, tenacia nella sopportazione delle fatiche, un’ordinaria dimestichezza nel governare la casa, età media e un animo disposto a sviluppare quelle doti che ancora non ci sono”. Il tono sarebbe più adatto a giudicare una badante che una moglie, ma così erano i tempi. Non sappiamo se furono felici. Barbara gli diede sei figli. Tre non sopravvissero, per gli altri Keplero ci fa sapere che si preoccupò di educarli alla religione e di insegnare loro il latino.

I guai più gravi maturano nel 1615 con l’accusa di stregoneria a sua madre Katharina, ormai fragile settantenne.

 

Figlio di una strega?

Un libro appena pubblicato da Hoepli, “L’astronomo e la strega” (356 pagine, 29,90 euro) di Ulinka Rublack, docente di storia all’Università di Cambridge, ricostruisce con grande rigore la vicenda, finora mal conosciuta, in base alla completa documentazione ritrovata nel 1820, offrendoci un quadro completo anche della vita quotidiana, familiare e sociale, dell’epoca di Keplero.

Tra il 1611 e il 1612 – ricorda Ulinka Rublack – nel piccolo territorio di Ellwangen, regione a maggioranza cattolica vicina alla residenza di Katharina, lavoravano due torturatori professionisti e furono mandate a morte 300 persone. Nel dicembre 1615, quattro giorni prima di natale, a Leonberg, dove Katharina abitava, il governatore Lukas Einhorn fece decapitare quattro donne accusate di stregoneria. Nel 1616 una vedova di 83 anni fu torturata e mandata a morte insieme con due guardiane di maiali. Dunque la faccenda non era da prendere sotto gamba.

La prima voce sulle stregonerie di Katharina fu sparsa dal secondo dei suoi figli, Heinrich, militare di mestiere, quando, di ritorno da una guerra, la madre non lo accolse con la generosità che si aspettava. Rapporti familiari duri erano normali in quel tempo. Fu così anche tra Galileo e sua madre, che continuamente lo vessava per futili questioni e lo faceva pedinare per sapere se andava a messa o dalla sua amante. Ma per Katharina l’accusa più seria venne dalla moglie di un vetraio già condannata per prostituzione, una certa Ursula Reinbold, che in precedenza aveva avuto un diverbio con lei e con un altro suo figlio, Christopher, dal carattere scostante.

 

Bere nel cranio dei genitori

Ursula disse di essersi sentita male dopo aver bevuto una pozione magica datale da Katharina per avvelenarla. Pare invece che il malessere fosse conseguenza di un aborto. Fatto sta che un po’ alla volta si accumularono 21 testimonianze, tra le quali quella di un becchino al quale Katharina avrebbe chiesto di riesumare il cranio del marito per farne una coppa montata in argento (peraltro usanza non rara in quegli anni). Una donna moglie di tale Bastian Meyer sarebbe morta per una zuppa cucinata da Katharina. Anche la moglie del macellaio sostenne che suo marito aveva avuto un’esperienza simile. Il sarto del paese a sua volta imputò a Katharina la morte dei suoi due figli che la donna aveva provato a curare con esorcismi da celebrare davanti a uno specchio in una notte di luna piena. Il maestro di Leonberg sostenne che Katharina era entrata in casa sua passando attraverso i muri. Si arrivò al punto che un magistrato ordinò a Katharina di liberare Ursula Reinbold dal sortilegio che le aveva fatto: il che equivaleva ad ammettere di essere “strega” qualsiasi fosse l’esito del contro-sortilegio.

La stesura di “Harmonices mundi” coincide con la battaglia di Keplero per salvare la madre dal rogo. Nel 1618, quando la stampa dell’opera era quasi completata, sembrava che la questione fosse finalmente risolta. Piovvero invece altre accuse. Nel 1620 Katharina fu imprigionata a Leonberg e minacciata con strumenti di tortura per indurla ad ammettere le sue presunte colpe. Tutto sembrò precipitare quando in carcere le trovarono un coltello che in realtà usava per sminuzzare il cibo, in quanto aveva perso tutti i denti. Per di più alla lettura delle accuse la vegliarda non pianse e guardò negli occhi l’accusatore, tipica protervia da “strega”.

 

Battaglia legale

Si giunse al processo. Katharina disse di non aver nulla da confessare e si inginocchiò per recitare un “Padre nostro”. Decisiva fu la difesa scritta da Keplero in un minuzioso documento di 128 pagine e presentata il 22 agosto 1621. La fama dello scienziato e il rimborso delle spese legali sostenute dai Reinbold evitarono il peggio: Katharina morì libera e di morte naturale poco dopo, il 13 aprile 1622.

La sua storia, e in parte la stessa opera scientifica di suo figlio, sono una scheggia di medioevo che affiora nelle fondamenta della modernità. I roghi di streghe e di eretici continuarono per decenni. Del resto il secolo si era aperto con Giordano Bruno messo al rogo a Roma in piazza Campo dei Fiori con la lingua serrata in una morsa (17 febbraio 1600). In un libro di ispirazione cattolica si legge che il filosofo di Nola, sostenitore dell’infinità dei mondi abitati, “perì in un incendio”.

 

L’articolo su “The Astrophysical Journal”: https://arxiv.org/abs/1711.00876

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