«Quanto è accaduto dieci anni fa nel distretto di Kandhamal, in Orissa, non sarebbe mai dovuto accadere e non dovrà accadere mai più. Ma la gente dell'Orissa vuole voltare pagina e vivere in una società rinnovata, dove regnino la pace e l'armonia». Con queste parole l'arcivescovo di Cuttack-Bhubaneswar, monsignor John Barwa, ha annunciato che la Chiesa cattolica indiana il prossimo 25 agosto vivrà con una «Messa per la riconciliazione, il ringraziamento per i testimoni della fede e l'invocazione di grazia» l'anniversario della più grave ondata di violenze contro i cristiani da parte dei fondamentalisti indù.

 

Era l'estate del 2008 quando nel distretto di Kandhamal, nello Stato orientale dell'Orissa, l'uccisione dello swami Lakshmanananda Saraswati - un leader fondamentalista indù noto per le sue battaglie contro le conversioni al cristianesimo tra le popolazioni tribali - scatenò un vero e proprio pogrom della folla dei suoi seguaci contro le chiese e le case dei cristiani. Furono giorni atroci di violenze che le forze di sicurezza non fecero nulla per fermare: alla fine si contarono un centinaio di cristiani uccisi, stupri e violenze di ogni tipo, 300 chiese date alle fiamme insieme a più di 6.000 abitazioni. Ben 55mila persone furono costrette a fuggire dal distretto di Kandhamal e molte di loro non vi fecero più ritorno.

 

A nulla era valsa la dichiarazione della guerriglia maoista, molto forte nelle foreste dell'Orissa, che aveva subito rivendicato l'uccisione di Saraswati: per quella morte dovevano essere comunque i cristiani a pagare. Al punto che - al termine di un processo sommario - nel 2013 sette di loro sono stati anche condannati al carcere a vita, perché accusati di un omicidio che sarebbe avvenuto nell'ambito di una «cospirazione cristiana».

Quanto accadde dieci anni fa nel distretto di Kandhamal segnò un prima e un dopo per i cristiani in India: mai prima di allora le violenze nei loro confronti avevano assunto proporzioni simili. E anche per questo l'Orissa è divenuto il tragico simbolo dell'intolleranza dei movimenti nazionalisti indù che costituiscono oggi una parte significativa della macchina del consenso che sostiene l'attuale premier indiano Narendra Modi. Dopo l'Orissa le stesse violenze e manifestazioni di intolleranza contro i cristiani si sarebbero poi puntualmente moltiplicate anche in altri Stati indiani, come ad esempio nel vicino Jharkhand, oggi l'epicentro delle tensioni.

 

Proprio per questo è particolarmente significativa la scelta della Chiesa indiana di vivere all'insegna della mano tesa in un gesto di riconciliazione questo anniversario doloroso. «La comunità cristiana - scrive l'arcivescovo di Cuttack-Bhubaneswar, la capitale dell'Orissa, a nome dell'intera conferenza episcopale - crede in un Dio che è il Dio del perdono, della riconciliazione e della pace. Ricordiamo anche a dieci anni di distanza quanto male l'odio e la rabbia possono provocare nella nostra società. Vogliamo ricordare ciò che è avvenuto perché non accada mai più. Non abbiamo alcuna inimicizia con nessuno».

 

L'arcivescovo Barwa ribadisce la vicinanza alle vittime e l'impegno per la giustizia portato avanti dalla Chiesa dell'Orissa. «Per questo - annota - abbiamo organizzato marce, presentato memorandum e stiamo ancora lottando nei tribunali. Ma oggi più che mai vogliamo mettere ogni cosa nelle mani del nostro Dio pregando e supplicando, fiduciosi che - come ci dice la Bibbia – anche ciò che agli uomini può sembrare impossibile a Dio è possibile».

 

Il presule ringrazia infine il governo dell'Orissa «che ha mostrato impegno a lavorare per il progresso e la crescita di tutti, indipendentemente dalla casta, dal credo o dal colore della pelle» e implora la benedizione di Dio «su tutti gli uomini e le donne di buona volontà».

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