Prete della diocesi e fidei donum in Africa per molti anni, don Marco Prastaro, eletto vescovo di Asti, con nomina pronunciata dall’arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia, giovedì 16 agosto alle 12, si racconta. Don Marco è uomo umile e di grande fede, aperto al dialogo con tutti: giovani, adulti, integrati ed esclusi, immigrati e parrocchiani, vicini e lontani. Nato a Pisa nel 1962 ma torinese a tutto tondo, la sua scuola formativa è stata l’Azione cattolica, poi la vocazione e il cammino di preparazione in Seminario. Dopo l’ordinazione il 22 maggio 1988 don Marco è viceparroco a Carmagnola, insegnante di Religione, e poi la più importante delle sue esperienze pastorali, fidei donum in Kenya. Dal 1998 al 2011 si trasferisce in Africa dove diventa dal 2006 al 2011 Vicario generale della diocesi di Maralal. Il suo primo pensiero è stato per il Papa: «Francesco ha scelto la mia umile e povera persona per essere in mezzo a voi il pastore che guida all’incontro con il Signore, per essere il seminatore che con generosità semina la Parola del Signore. Nella consapevolezza della grandezza di questo compito non posso che ringraziare papa Francesco per la fiducia e la benevolenza che ha avuto verso di me», ha detto dopo la nomina. L’ingresso ad Asti sarà il prossimo 21 ottobre.

Dal suo ritorno dal Kenya è stato direttore dell’ufficio missionario, parroco a Sant’Ignazio, e poi moderatore della Curia, ora la nomina episcopale.

«Sono stupito e sorpreso da questa nomina. Una chiamata inattesa, un nuovo cammino che inizio con la forza di Dio e dei fratelli. Vado ad Asti, una comunità che amerò con tutte le mie forze. Una Chiesa per e dei poveri, aperta, partendo dalla centralità della Parola di Dio, guida e luce del cammino di ogni donna e uomo. Una comunità aperta in cui i rapporti sono fraterni e la collaborazione sempre più ampia e responsabile tra laici e presbiteri è il cuore della vita ordinaria».

Lo stile della Chiesa missionaria è una scelta per tutti gli ambienti sociali e territoriali?

«Dobbiamo riflettere per poi operare con un stile diverso. L’atteggiamento e la relazione con le persone sono momenti propedeutici a ogni metodologia pastorale, così da poter proporre elementi per pensare a una pastorale missionaria, a una Chiesa in uscita. La chiave di lettura dell’esperienza della “missio ad gentes”, il grande tema dell’inculturazione perché credo possa aiutarci ad acquisire elementi generali validi anche per noi qui e adesso».

Cristiani oggi: come vivere in una comunità plurale e in una realtà in cui la secolarizzazione e l’indifferenza religiosa coinvolgono la maggior parte della nostra gente?

«Oggi è importante di condurre alla fede non per proselitismo ma “per attrazione”: abbiamo bisogno di una comunità che sia vero esempio di accoglienza, attenzione, coerenza, testimonianza. Dobbiamo curare la vita delle nostre comunità. Però non perché diventino dei paradisi bellissimi e allo stesso tempo chiusi in sé stessi e isolati dal mondo. Ma comunità che sono solidali e condividono le sofferenze dei fratelli cercando di vivere nella fraternità e nell’accoglienza. Una sfida complessa in una società che esalta l’individualismo. La fraternità è la base del cristianesimo che si deve costruire con l’apporto di tutti».

La sua lunga esperienza in Kenya è sempre presente nella sua azione pastorale. Cosa intendiamo oggi per Chiesa missionaria?

«Tutti siamo chiamati ad alzare il nostro sguardo dalle nostre realtà e rivolgerlo alla Chiesa intera sparsa per il mondo, per conoscere come il Vangelo ha cambiato la storia dei popoli e delle nazioni. Siamo chiamati a uscire dal nostro giro di amici missionari per accorgerci che la missione è più grande di loro e delle loro bellissime opere, abbraccia tutto il mondo, è fatta dai tanti donne e uomini, religiosi e laici che in ogni parte della terra annunciano, testimoniano e soffrono per la loro fede in Gesù Cristo. Alla base dunque ci sono la misericordia e la carità che rende visibile nelle azioni di attenzione, cura e misericordia il volto di Dio. Rinforza l’annuncio. Ma nel contempo l’annuncio spiega la carità, ne disvela il suo significato. Una carità che oggi comprendiamo essere un percorso non solo del dare, ma anche e soprattutto del volere bene e dell’entrare in relazione, del creare fratellanza».

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