Autostrade, il governo si spacca. Giorgetti: no alla gestione statale

Il leghista gela i grillini: bisogna agire in modo razionale. E apre allo sforamento del 3%

Autostrade, il governo si spacca. Giorgetti: no alla gestione statale

Solitamente silente e riservato, Giancarlo Giorgetti arriva al Meeting di Rimini e frena apertamente i ministri sulla nazionalizzazione della rete autostradale, mettendo in mostra - al di là delle dichiarazioni di unità - una frattura profonda tra le anime del governo. Quella pragmatica è rappresentata proprio dal braccio destro di Matteo Salvini e sottosegretario a Palazzo Chigi, la massima autorità governativa presente all’annuale appuntamento di Comunione e liberazione, che per questa edizione ha scelto di non invitare esponenti dei Cinque Stelle e il leader della Lega.

«Non sono persuaso che la gestione dello Stato sia di maggiore efficienza», spiega Giorgetti in maniche di camicia e scarpe da tennis, applauditissimo dalla platea ciellina. Parole in contrapposizione a quelle dei ministri M5S che spingono per far tornare Autostrade tra le braccia dello Stato dopo la tragedia di Genova. Prima di arrivare alla revoca servono una serie di valutazioni e nel caso «rivedere la convenzione», dice. Escluso quindi un intervento diretto e immediato, perché occorre prima valutare i costi. Nazionalizzare Autostrade costerebbe 20 miliardi di euro, in pratica una manovra economica.

Emerge comunque una velata critica ad alcuni membri del governo dalle parole del sottosegretario, secondo cui dopo il crollo del Ponte Morandi in molti hanno parlato sull’onda dell’emozione. Ora invece «occorre agire in modo razionale e con rigore». Rompe intanto il silenzio sulla tragedia l’ex ministro Pd delle Infrastrutture, Graziano Delrio, che tributa dal palco un ricordo alle vittime e attacca: «Sono state dette troppe bugie, che disonorano i morti. Non c’è stata nessuna proroga delle concessione al 2042 e nessuna secretazione degli atti. Né ci è mai stata segnalata la necessità di limitazione del traffico».

Problema deficit

Il banco di prova per questo governo comunque sarà la Finanziaria. Un test chiave per capire la tenuta dell’alleanza ma soprattutto quella dei conti pubblici. Giorgetti, che conosce bene il bilancio dello Stato, in vista di un autunno caldo non spegne però i timori degli investitori. È infatti possibile, spiega, che il governo sfori il tetto del 3% di deficit, con l’obiettivo di realizzare un grande piano di manutenzione: «Non escludo niente», ammette. Di questo però - raccontano fonti del ministero dell’Economia - non si è ancora discusso in modo concreto. Andare oltre ai vincoli di bilancio avrebbe ricadute pesanti sullo spread, che secondo un sondaggio di Bloomberg schizzerebbe ad una quota pericolosissima, 470 punti.

La riforma istituzionale

Ma al di là dei temi più legati all’attualità, il sottosegretario guarda ai mesi a venire e mette in guardia il suo partito e gli alleati. Perché, secondo il «Giorgetti pensiero», l’onda che ha portato al potere Lega e Cinque Stelle potrebbe presto travolgere anche i due partiti populisti. «Il Parlamento - spiega - non ha più il ruolo che aveva nel passato, è ormai inconcludente». Per questo motivo «occorre riformare le istituzioni». Giorgetti - contrariamente all’idea del visionario Davide Casaleggio che considera superata la democrazia rappresentativa - rimane dentro al recinto costituzionale e immagina una modifica della Carta, che permetta maggior incisività politica. Tre i punti elencati (su cui hanno già tentato fallimentari interventi i precedenti governi): l’elezione diretta del presidente della Repubblica, il monocameralismo e il dimezzamento dei parlamentari. Il progetto non è nel contratto di governo, ma per Giorgetti «è fondamentale. Il rischio sennò è che la richiesta dell’uomo forte cominci a diventare molto seria», spazzando via anche i partiti oggi al potere.

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