Desidero dare una risposta all’articolo online apparso su Bussola Quotidiana, firmato da Luisella Scrosati, intitolato “Coccopalmerio saccheggia i testi della Chiesa” e riferentesi all’Intervista da me rilasciata ad Andrea Tornielli per Vatican Indider in data 30 luglio 2018 con il titolo “La comunione al coniuge non cattolico, ecco perché è possibile”.

L’intervento di Bussola Quotidiana mi dà la felice occasione di precisare il mio pensiero sul difficile tema dell’intercomunione.

Procedo per punti, nei quali riferisco le osservazioni dell’Autrice e cerco di dare le mie spiegazioni.

1. All’inizio dell’ampia requisitoria, l’Autrice ricorda che il can. 844, §4 del Codice di diritto canonico “delimita alla situazione di pericolo di morte o altra grave necessità (più correttamente: grave e urgente – confronta “urgeat”) la possibilità di comunicare sacramentalmente un protestante”. Nel seguito immediato, l’Autrice afferma che l’intervistatore pone la sua attenzione sulle due espressioni usate da Giovanni Paolo II: “casi particolari” (Enciclica “Ut unum sint”, n. 46) e “circostanze speciali” (Enciclica “Ecclesia de Eucharistia”, n. 45). Secondo l’intervistatore, tali espressioni sembrerebbero aumentare i casi di possibile amministrazione dei sacramenti, aldilà dei casi ristretti previsti dal can. 844, §4. Secondo l’Autrice, invece, tali due espressioni si riferiscono strettamente al can. 844, §4 e ne ribadiscono il senso. Sempre secondo l’Autrice, il Cardinale Coccopalmerio seguirebbe l’interpretazione data dall’intervistatore.

Voglio al riguardo precisare che così non è. E, in effetti, nel fare l’esegesi del can. 844, §4, e cioè per capire che cosa esattamente significhi necessità grave e urgente, non parto dalle espressioni “casi particolari” o “circostanze speciali”, bensì affermo che il Codice e quindi il can. 844, §4 è essenzialmente dipendente dal Concilio Vaticano II e deve pertanto essere interpretato a partire da questo. Per tale motivo, ho considerato il testo di “Unitatis redintegratio”, n. 8,4. Ho infatti la convinzione che l’autentico significato del can. 844, §4 e, perciò, di “necessità grave e urgente” nella statuizione dello stesso testo, deve essere ricavato dall’insegnamento di “Unitatis redintegratio”, n.8, 4.

Risulta utile, per la chiarezza del discorso, rileggere e confrontare i due testi.

“Questa «communicatio in sacris» (con altro termine: la intercomunione) è regolata soprattutto da due principi: esprimere l’unità della Chiesa; far partecipare ai mezzi della grazia. Essa è, per lo più, impedita dal punto di vista dell’espressione dell’unità; la necessità di partecipare la grazia talvolta la raccomanda” (“Unitatis redintegratio”, n.8,4).

“Se vi sia pericolo di morte o qualora, a giudizio del Vescovo diocesano o della Conferenza episcopale, urgesse altra grave necessità, i ministri cattolici amministrano lecitamente i medesimi sacramenti (cioè i sacramenti della Penitenza, dell’Eucaristia e dell’Unzione degli infermi) anche agli altri cristiani (cioè ai cristiani appartenenti alle Confessioni di occidente) che non hanno piena comunione con la Chiesa cattolica, i quali non possono accedere al ministro della propria comunità e li richiedono spontaneamente, purché manifestino, circa questi sacramenti, la fede cattolica e siano ben disposti” (can. 844, §4).

Aggiungo due spiegazioni relative a “Unitatis redintegratio”, n.8, 4.

Quanto al primo dei due principi, “esprimere l’unità della Chiesa” significa sostanzialmente questo: quando la Chiesa cattolica amministra i sacramenti a un battezzato, afferma con tale atto che questo battezzato è con la Chiesa cattolica in comunione piena. Per tale motivo la Chiesa cattolica non potrebbe amministrare i sacramenti a un cristiano non cattolico che è con la Chiesa cattolica in comunione non piena. In questo caso l’amministrazione dei sacramenti comporterebbe il pericolo di indifferentismo ecclesiologico e di scandalo conseguente, intendendo con indifferentismo ecclesiologico l’affermazione erronea che non c’è differenza tra essere o non essere con la Chiesa cattolica in comunione piena e intendendo con scandalo conseguente la convinzione erronea derivante logicamente dall’affermazione erronea.

Quanto al secondo dei due principi, “far partecipare ai mezzi di grazia” significa sostanzialmente questo: i battezzati, in quanto battezzati, hanno la necessità spirituale di ricevere il conferimento della grazia santificante non in un modo qualsiasi, bensì in un modo specifico, cioè con l’amministrazione dei sacramenti. Questo vale - come ovvio - anche per i battezzati non cattolici. Rendiamoci ben conto: i battezzati non cattolici hanno la necessità spirituale di ricevere la grazia santificante attraverso l’amministrazione dei sacramenti. Ciò comporta logicamente che i battezzati non cattolici, nei casi in cui non possono ricevere l’amministrazione dei sacramenti da parte dei loro ministri, hanno la necessità spirituale di riceverli dalla Chiesa cattolica. Tutto ciò possiamo ritenere come comprensibile e logica determinazione della “gratia procuranda” (dove si noti il gerundio come segno di necessità).

2. A questo punto, l’argomentazione dell’Autrice si fa complessa e quindi non è facile capirla e darvi risposta. Cito solo questo passo “Sua Eminenza … prosegue «da par suo» a far man bassa dei testi del Magistero. Riferendosi al testo del decreto del Vaticano II sull’ecumenismo, “Unitatis redintegratio”, 8, Coccopalmerio spiega che «questa `communicatio´ è regolata da due principi: esprimere l’unità della Chiesa; fare partecipare ai mezzi della grazia. Essa è, per lo più, impedita dal punto di vista dell’espressione dell’unità; la necessità di partecipare alla grazia talvolta la raccomanda». (Sembra che le parole virgolettate siano una mia spiegazione. In realtà sono una citazione del testo di “Unitatis redintegratio”, n. 8, 4). L’Autrice continua dicendo: “Di questo testo, il cardinal Coccopalmerio propone una interpretazione tutta sua, come se la Santa Sede non l’avesse mai fornita”.

Rispondo dicendo che la mia interpretazione del testo di “Unitatis redintegratio”, n. 8, 4 è consistita nel sottolineare le parole nelle quali viene espresso il principio della necessità spirituale di conferire la grazia santificante ai cristiani non cattolici, da parte della Chiesa cattolica non in un modo qualsiasi, bensì con l’amministrazione dei sacramenti. Il principio della “gratia procuranda” e cioè della necessità spirituale come indicato sopra determina che a volte l’amministrazione dei sacramenti ai cristiani non cattolici sia non solo possibile bensì anche raccomandata.

Sinceramente non capisco come avrei saccheggiato i predetti testi del Magistero solo citando alla lettera il testo di “Unitatis redintegratio”, n. 8, 4 e avendo solo ridetto ciò che il testo esprime.

3. Altro punto di contestazione: “Dopo aver preso congedo dalla grammatica, il Cardinale Coccopalmerio manda in ferie anche il lessico: «la grave necessità» cui – si è visto – rimandano tutti gli interventi successivi alla promulgazione del can. 844, sparisce per lasciare il posto, in via definitiva, al «caso eccezionale», che diventa criterio dirimente, ed «il grave bisogno spirituale per l’eterna salvezza» di “Ecclesia de Eucharistia”, 45 diventa una semplice «necessità spirituale»”.

Mi rendo conto che la risposta non appare facile. Vediamo, però, di capirci bene.

Sappiamo che “Unitatis redintegratio”, n.8, 4 stabilisce due principi cioè due necessità: evitare il pericolo di indifferentismo o di scandalo; conferire la grazia santificante mediante l’amministrazione dei sacramenti. I due principi o le due necessità devono essere rispettati insieme. Possiamo dire così: nei casi in cui non è possibile evitare il pericolo di indifferentismo e di scandalo, non è possibile amministrare i sacramenti; nei casi in cui è possibile evitare il pericolo di indifferentismo e di scandalo, è possibile, anzi raccomandato, di amministrare i sacramenti. Da questi due principi deve partire la corretta esegesi del can. 844, §4. Il quale – evidentemente – tiene in considerazione entrambi i principi, però sembra particolarmente preoccupato di evitare il pericolo di indifferentismo e di scandalo. E allora indica due casi, che ritiene sicuri, nel senso che in tali condizioni non dovrebbe verificarsi il pericolo di indifferentismo e di scandalo: il pericolo di morte e la necessità grave e urgente. Quanto al pericolo di morte, nessun dubbio interpretativo. Quanto alla necessità grave e urgente, dobbiamo invece chiederci cosa precisamente significhi. Possiamo addurre l’esempio seguente: se un cristiano non cattolico deve sottoporsi a una operazione chirurgica di notevole impegno (senza tuttavia pericolo di morte) e deve sottoporvisi in breve tempo, tale caso configura una necessità grave e urgente. Ora risulta chiaro che in questo preciso caso, proprio a motivo della situazione di necessità grave e urgente, si evita il pericolo di indifferentismo e di scandalo: tutti, infatti, possono constatare che l’amministrazione dei sacramenti a un non cattolico configura in questo caso la risposta della Chiesa cattolica a una necessità spirituale grave e urgente.

4. Altra contestazione e altra citazione: “L’affermazione più grave deve però ancora venire. Dopo aver litigato con il lessico e la grammatica, il cardinale Coccopalmerio fa decisamente a pugni con l’ortodossia… che ne è di una condizione richiesta ai cristiani non cattolici… e cioè di avere la stessa fede della Chiesa riguardo ai sacramenti?”. L’Autrice contesta la mia risposta, secondo la quale, per limitarci all’Eucaristia, è necessario e sufficiente credere in quello che Gesù ha indicato nell’ultima cena: questo è il mio corpo, questo è il mio sangue e credere quindi che dopo la consacrazione il pane è il corpo di Gesù e il vino è il sangue di Gesù. Non risulta invece necessario aderire a dottrine teologiche, anche di altissimo valore, quale quella della transustanziazione. E, invece, secondo l’Autrice per avere nell’Eucaristia la stessa fede della Chiesa cattolica sarebbe anche necessario aderire alla dottrina della transustanziazione.

Devo qui, ripetere onestamente la mia convinzione che per avere nell’Eucaristia la stessa fede della Chiesa cattolica non risulta necessario aderire a dottrine teologiche, neanche a quella della transustanziazione. Tuttavia, a ben vedere, se un fedele crede che dopo la consacrazione il pane è diventato il corpo di Gesù e il vino è diventato il sangue di Gesù, aderisce di per sé e ovviamente anche alla dottrina della transustanziazione: infatti crede che l’essere del pane si è trasformato nell’essere del corpo di Gesù, la sostanza del pane si è trasformata nella sostanza del corpo di Gesù e così per la sostanza del vino; quindi crede che è avvenuta una transustanziazione. Ritengo che su questo punto non ci siano problemi o siano necessarie altre spiegazioni.

5. Un ultimo aspetto su cui l’Autrice pone l’attenzione sarebbe questo: nella mia intervista non ricorderei e per tale motivo non esigerei tutte le condizioni che rendono lecita l’amministrazione dei sacramenti a un protestante e cioè “se vi sia pericolo di morte o altra grave (e urgente) necessità e a singole persone e… che desiderano riceverli e che li domandano liberamente e che hanno la stessa fede della Chiesa in questi sacramenti”.

Posso precisare che tali condizioni sono state da me elencate nella prima risposta al n. 4, b (si noti che la lista dell’Autrice non è completa perché mancano le seguenti: siano ben disposti e non possano accedere al ministro della loro confessione) e che a questo punto era solo necessario indicare esattamente la esegesi della grave e urgente necessità secondo la statuizione del can. 844, §4 e in essenziale dipendenza dall’insegnamento di “Unitatis redintegratio”, n. 8,4.

6. Potrebbe, forse, risultare utile, per i pazienti lettori, presentare in sintesi e con scaletta logica le osservazioni svolte nelle righe precedenti.

a) La esegesi del can. 844, § 4 deve essenzialmente dipendere dall’insegnamento di “Unitatis redintegratio”, n. 8, 4

b) La grande affermazione di tale testo consiste a mio giudizio nel principio della “gratia procuranda”, cioè nella affermazione della necessità spirituale che la grazia santificante sia conferita a tutti i battezzati, non in un modo qualsiasi, bensì con l’amministrazione dei sacramenti.

c) Ciò comporta logicamente che i battezzati non cattolici nei casi in cui non possono ricevere l’amministrazione dei sacramenti da parte dei loro ministri, hanno la necessità spirituale di riceverli dalla Chiesa cattolica.

d) In ogni modo, nell’amministrare i sacramenti da parte della Chiesa cattolica ai battezzati non cattolici deve essere evitato il pericolo di indifferentismo e di scandalo: nei casi in cui non è possibile evitare il pericolo non è possibile amministrare i sacramenti; nei casi in cui è possibile evitare il pericolo è possibile amministrare i sacramenti.

e) Il problema davvero cruciale è ora il seguente: quali sono i casi in cui risulta possibile evitare il pericolo di indifferentismo e di scandalo? Abbiamo visto che il can. 844, §4 ne presenta due, cioè il pericolo di morte oppure una necessità grave e urgente, indicandoci che tali casi sono casi sicuri, casi cioè nei quali è sicuramente possibile evitare il duplice pericolo.

f) Possiamo tuttavia ritenere che esistano altri casi in cui è possibile evitare l’indifferentismo e lo scandalo. Il criterio per individuarli dovrebbe essere una condizione di eccezionalità. Da comprendersi e da spiegarsi nel modo seguente. Un cristiano non cattolico si trova in una condizione di eccezionalità che determina in lui la richiesta dei sacramenti. La Chiesa cattolica risponde alla richiesta amministrando i sacramenti. Tutti nella comunità ecclesiale, o anche fuori di essa, possono facilmente e onestamente interpretare l’atto della Chiesa cattolica non, certamente, come affermazione di indifferentismo, bensì, chiaramente, come risposta alla richiesta fatta da un non cattolico che si trova in condizione di eccezionalità. In altre parole, tutti possono facilmente e onestamente ritenere che l’amministrazione dei sacramenti in queste condizioni di eccezionalità non significa che la Chiesa cattolica considera un non cattolico allo stesso modo di un cattolico, ma significa soltanto che essa adotta un comportamento consentaneo a una condizione di eccezionalità.

Possiamo fare alcuni esempi di quanto detto. Una mamma, non cattolica, partecipa alla celebrazione della Messa in cui il figlio cattolico riceverà la prima Comunione e per non restare divisa, in questo eccezionale momento, dal suo bambino, chiede di ricevere la Comunione con lui. Questa condizione di eccezionalità è a tutti nota e quindi tutti nella comunità ecclesiale, o anche fuori di essa, possono facilmente e onestamente riconoscere che la Chiesa cattolica, amministrando la comunione a questa mamma, non la considera come cattolica, ma solo le consente di non separarsi dal suo bambino in questo momento. Un figlio, non cattolico, partecipa alla celebrazione della Messa in occasione delle esequie del padre e in questa eccezionale circostanza chiede di ricevere la Comunione. Anche il caso della coppia mista che partecipa alla Messa in chiesa cattolica può configurare una condizione di eccezionalità a tutti nota.

Insomma – vogliamo ripeterlo – la condizione di eccezionalità dovrebbe portare tutti a ritenere che la Chiesa cattolica amministrando i sacramenti a un non cattolico non intende considerarlo come un cattolico, ma vuole soltanto adottare un comportamento consentaneo a una condizione di eccezionalità.

Negli esempi adotti poco sopra e in altri ipotizzabili, la oggettiva condizione di eccezionalità e la soggettiva interpretazione corretta dell’atto della Chiesa cattolica sono elementi essenziali. Per quello che riguarda l’interpretazione corretta, notiamo bene che molto dipende dalla maturità delle persone che sono di volta in volta chiamate a interpretare correttamente il gesto della Chiesa cattolica. In ogni modo, in questa materia è necessario giudicare ogni caso in modo singolare e concreto. Per tale motivo il testo del can. 844, § 4 statuisce molto saggiamente: “a giudizio del Vescovo diocesano o della Conferenza episcopale”.

Ritorniamo – per concludere il discorso – all’insegnamento di “Unitatis redintegratio”, n.8, 4 e alla statuizione del can. 844, §4.

“Unitatis redintegratio”, n.8, 4 insegna chiaramente che quando risulta garantito il primo dei due principi, quello dell’unità della Chiesa, allora il secondo principio, quello della “gratia procuranda”, esprime la sua forza e consente, anzi raccomanda, che vengano amministrati i sacramenti.

Il can. 844, §4, che dipende essenzialmente dal testo precedente, riceve dallo stesso un’interpretazione dinamica, nel senso che i due casi del pericolo di morte e della necessità grave e urgente sono da considerarsi due casi esemplari, però non unici, in cui si verifichi una condizione di eccezionalità che esclude nell’amministrazione dei sacramenti da parte della Chiesa cattolica a battezzati non cattolici il pericolo di indifferentismo e di scandalo e applichi il principio della “gratia procuranda”.

* Cardinale, Presidente emerito del Pontificio consiglio per i testi legislativi

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