Al nono giorno, finalmente, la via d’uscita. Ci tendono una mano l’Irlanda e l’Albania, disposti ad accogliere una ventina dei migranti trattenuti a bordo della «Diciotti». «Felici di dare una mano all’Italia», annuncia a sera Tirana e il ministro Enzo Moavero si precipita a ringraziare. Forse pure Serbia e Montenegro potrebbero ospitare qualche decina di persone (i contatti sono in corso), ma del grosso, un centinaio, se ne farà carico la Cei italiana, naturalmente accogliendoli sul suolo nazionale. I vescovi hanno trattato direttamente con Salvini «per spirito umanitario» quando hanno visto che l’Europa non apriva le porte. E Salvini ringrazia, dato che questa strada, come spiega, l’ha aperta lui personalmente «mentre mi insultavano».

Moavero: «Ringrazio l’Albania, l’Irlanda e i vescovi italiani per l’aiuto: da loro un gesto di solidarietà e amicizia»

Gli sforzi della nostra diplomazia, e qualcuno dice dell’intelligence hanno raschiato il fondo del barile, ma quel che conta è l’esito: viene posto rimedio a una situazione ormai insostenibile permettendo al governo, e in particolare a Salvini, di uscire dall’angolo. Non a caso nel pomeriggio il ministro anticipava soddisfatto: «Stiamo lavorando e ragionando per una soluzione con i Paesi stranieri più vicini a noi». Al netto della propaganda, si tratta di soluzione provvisoria: al prossimo barcone, ci ritroveremo punto daccapo. E con l’Europa la partita rimane aperta, tanto che il premier Conte esclude che «a queste condizioni l’Italia possa aderire al piano finanziario pluriennale in corso». Si vogliono impegni precisi per voltare pagina sull’immigrazione anche a costo di complicare l’altra trattativa, sulla manovra economica. L’aria con Bruxelles è più tesa che mai e Salvini tuona: «Albania, grazie. Francia, vergogna».

Il triangolo istituzionale

Chi meglio ne esce è il ministro degli Esteri, Enzo Moavero. Come nella precedente crisi della «Diciotti», un mese e mezzo fa, il capo della Farnesina ha sfruttato a fondo le proprie relazioni. Il suo peso specifico cresce anche in vista dei prossimi difficili negoziati europei. Respira di sollievo anche il presidente del Consiglio, che nei giorni scorsi si era assunto un impegno preciso con il Capo dello Stato: aveva promesso di prendere l’iniziativa per superare l’impasse, non appena la situazione politica glielo avesse permesso. Sergio Mattarella ha atteso con pazienza che il premier e Moavero portassero a casa il risultato, senza metter loro fretta. Da questa prova, il triangolo operativo tra Quirinale, Palazzo Chigi e Farnesina esce rafforzato, in attesa di formare sulla manovra economica un quadrilatero con via XX settembre.

Situazione insostenibile

Ancora ieri mattina, l’impasse sembrava totale. Quando al mattino si è saputo che gli ispettori sanitari stavano per salire a bordo della «Diciotti», al ministero dell’Interno hanno persino pensato che la crisi si sarebbe risolta così, in forza di un certificato medico. Sbarco per cause di forza maggiore. «In questi casi non serve il via libera del Viminale», era la spiegazione già pronta. Invece si è scoperto che dalla nave sarebbero scesi solo in 17: le 11 donne che lamentavano le sevizie e gli stupri nei lager libici più 6 uomini con malattie varie, dalla scabbia al sospetto di tubercolosi. Lì si è percepito quanto la situazione fosse diventata ormai insostenibile sul piano umanitario e anche su quello politico, con segni palesi di insofferenza tra gli stessi grillini nei confronti dell’alleato Salvini, sempre più solo, accerchiato da ogni lato. Il ministro dell’Interno ha cominciato con l’aggiustare il tiro, visto anche il diluvio di odio scatenatosi sui social, nei confronti del personale in divisa: «Esprimo ringraziamento e sostegno ai militari a bordo della “Diciotti” e a tutte le donne e a tutti gli uomini della Guardia costiera e della Marina militare per l’impegno e il sacrificio di questi anni e di queste ore». E mentre balzava fuori la notizia che il procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio, stava interrogando un paio di funzionari del ministero, Salvini rilanciava: «Mi sembra meschino andarsela a prendersela con dei funzionari quando c’è un ministro che si prende la responsabilità di dire no». È stato esaudito: l’inchiesta punta su di lui.

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