La prima delusione di Giuseppe Conte arriva quando Andrej Babis, il premier della Repubblica Ceca ospite a Palazzo Chigi conferma sotto la bandiera europea che non prenderà nemmeno un migrante e che ribadirà ovunque il suo no alla politica dell’accoglienza perseguita dal governo italiano. La seconda delusione arriva subito dopo, quando assiste inerme alla coreografica stretta di mano tra Matteo Salvini e Viktor Orban. L’isolamento del premier italiano è contenuto nella perfetta sincronia di una giornata dove in due diverse città l’Italia ha offerto un palcoscenico alle ragioni di Visegrad, l’alleanza che sta fondando sulla lotta ai migranti la sua presa sulla vecchia Europa. Mentre l’ungherese Viktor Orban entrava in prefettura a Milano per incontrare Matteo Salvini, il ceco Babis a Roma usciva da Palazzo Chigi con il volto vistosamente soddisfatto dopo il colloquio con Conte. In quei precisi istanti, l’uomo di Budapest confermava il muro dell’Ungheria sui profughi. La stessa identica e scontata posizione che un’ora prima aveva rivendicato Babis di fronte a Conte, bocciando definitivamente ogni presupposto di solidarietà europea su cui continua a scommettere il governo di Roma. O meglio: la parte grillina del governo.

«Non dovreste nemmeno parlare di accoglienza né di quote» suggerisce al premier italiano Babis, convinto come Orban e Salvini che parlare di quote e redistribuzione sia un invito alla navigazione per i migranti. «Una strada verso l’inferno» l’aveva definita a metà luglio, provocando la reazione del presidente della Camera Roberto Fico sempre più punto di riferimento dei reduci dell’ala solidarista del M5S lasciati ai margini dell’alleanza giallo-verde. In un clima che fonti ceche e italiane definiscono «cortese», il premier di Praga liquida come «sbagliato» il progetto perseguito da Conte, offrendo però il pieno sostegno all’Italia e alla sua particolare situazione di Paese frontiera del Mediterraneo. Una beffa per il presidente del Consiglio che inutilmente ha provato a insistere sulle conclusioni del Consiglio europeo di fine giugno. Un approccio «più strutturale e meno emergenziale» al fenomeno migratorio: era quello il «buon compromesso» sul quale, come ha dimostrato il caso della nave Diciotti, aveva creduto con troppo ottimismo Conte. Costretto ora a chiedere a Babis che «almeno non venga demonizzato un sistema condiviso dell’immigrazione in cui l’Italia crede fermamente» e «che si creino incentivi economici per chi partecipa alla redistribuzione e disincentivi per chi non vi prende parte». Una terminologia più galante per dire quello che il M5S sostiene da mesi: i Paesi Visegrad che si sottraggono all’accoglienza vanno sanzionati e privati dei fondi Ue. Un atto di forza che Salvini è già pronto a smontare.

L’imprevista coincidenza di agende e il doppio incontro a distanza, più che consegnare l’Italia all’abbraccio di Visegrad ha fatto emergere la vistosa frattura che separa la strategia del presidente del Consiglio da quella del suo ministro dell’Interno, sempre più a suo agio nei panni di premier ombra, ma anche un po’ di ministro degli Esteri. Dal Cairo Luigi Di Maio cerca di contendere la scena a Salvini anche sul fronte del Mediterraneo, ma ogni affermazione del leghista diventa un macigno con cui fare i conti. Minaccia di abbandonare la missione di soccorso navale Sophia mentre gli ambasciatori, il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi e la ministra della Difesa Elisabetta Trenta cercano una soluzione a Bruxelles. Sui respingimenti dei movimenti secondari, cioè dei migranti in attesa di asilo che si sono spostati da un Paese Ue all’altro, annuncia, scavalcando la Farnesina, che un accordo con la Germania è vicino, «a saldo zero», se Berlino si prenderà un po’ di profughi.

Ma è sulla scelta della sponda europea che Salvini per l’ennesima volta spiazza Conte. Il premier si sente più «solo», inerme davanti alla conferenza show del leghista che preferisce muoversi «più da leader politico che da ministro». Mentre a Milano infatti Salvini e Orban si scambiavano reciproche congratulazioni, in un’intesa d’acciaio basata sull’idea condivisa di smontare il sistema dell’accoglienza europea e recintare il continente, puntando a zero immigrati, a Roma Conte inghiottiva la frustrazione di sentire un ennesimo no a qualsiasi progetto di redistribuzione delle quote. Una sensazione alimentata dalla consapevolezza che Salvini preferisce guardare al patto anti-migranti dell’Est, di Paesi europei che sfuggono agli accordi presi e non vogliono nemmeno sentir parlare di ricollocamenti.

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