L’ultimo foreign fighter rintracciato, fermato ed espulso in seguito alle indagini della sezione investigativa della Digos di Ravenna risale a pochi giorni fa: è un 28enne albanese che aveva combattuto in Iraq e in Siria nelle file di Al Nusra e dello Stato islamico, ha fatto ritorno in Albania e poi ha cercato di stabilirsi in Italia con moglie e figlia appena nata. All’apparenza sembrerebbe semplicemente un’azione di intelligence volta a prevenire possibili, futuri comportamenti pericolosi da parte di un soggetto che ha già impugnato le armi per il Califfato, ma in realtà la sua espulsione è il sesto intervento della serie in soli tre anni. Un numero abbastanza impressionante per una realtà piccola come Ravenna e che ne fa, per citare l’espressione usata dal primo arrestato, Nouassair Louati, allorché venne intercettato in carcere qualche tempo dopo il fermo, nel 2015, «la capitale italiana dei foreign fighter».

I motivi per cui la città romagnola si sia guadagnata una definizione del genere sono più d’uno. Intanto c’è la presenza in città di una numerosa comunità tunisina, originaria in parte di un’area fortemente radicalizzata del Paese maghrebino, cui appartengono i giovani che sono partiti da qui per arruolarsi nelle formazioni combattenti fra il 2012 e il 2015. Otto in tutto, sei dei quali sono morti in battaglia. E poi, sul fronte opposto, c’è una squadra di investigatori capaci di coniugare tecniche tradizionali di indagine con la conoscenza approfondita del fenomeno jihadista, frutto, quest’ultima, di studi e aggiornamenti continui da parte di esperti veri. Un felice connubio fra suole consumate nei pedinamenti, informazioni raccolte sui social e cultura dell’antiterrorismo.

Nel 2015 l’arresto di Louati, anche lui tunisino, bloccato dopo un lungo inseguimento su Facebook dove scambiava messaggi in cui annunciava che avrebbero issato la bandiera nera dell’Isis sulla Torre di Pisa. Aveva già in tasca il biglietto aereo per la Siria via Turchia. Nel 2016 è toccato a Fortion Llhusa, albanese, allora 28enne, fermato perché stava sparando in un parco urlando Allah akbar. Un anno dopo è stato espulso Marouan Mathlauthi, 26 anni, tunisino, amico social di Louati e autore di frasi preoccupanti pubblicate su internet. Nel 2018 altre due espulsioni: Zied Chriaa, 23 anni, e Ben Alì Kanzari Ramzi, 27, entrambi tunisini, segnalati dall’Interpol come soggetti che avevano combattuto sui fronti siriano e iracheno.

L’ultimo rimpatrio, l’albanese 28enne espulso questa settimana, è un caso di scuola in cui la preparazione accademica degli investigatori sul terrorismo è andata di pari passo con indagini da vecchia scuola della Mobile: il giovane è stato tenuto d’occhio nei suoi spostamenti dopo che la questura era stata avvertita dei suoi trascorsi sugli scenari di guerra. Aveva tutte le carte in regola per ottenere il permesso di soggiorno, perché la moglie 19enne di origini albanesi ha la cittadinanza italiana e la figlia è appena nata nel nostro Paese. Due parenti della ragazza, per inciso, sono sotto indagine a Brescia per reclutamento terroristico. La polizia lo ha sorvegliato nei suoi movimenti notando la serietà con cui, nei cantieri dove lavorava in nero come elettricista, rimproverava i connazionali che bevevano birra, osservando il carisma che esercitava sui compagni in virtù del suo passato da combattente, assistendo alla puntualità con cui si rivolgeva verso la Mecca per le preghiere quotidiane. La preoccupazione era che diventasse un catalizzatore per altri aspiranti jihadisti, spiegano fonti investigative. Il basso profilo e altri elementi raccolti nei pedinamenti hanno infine convinto gli agenti a chiedere al ministero dell’Interno il provvedimento di espulsione ai sensi dell’articolo 13 del D.L. 286 del 1998. Quando sono andati a prelevarlo nell’appartamento di Castelbolognese dove viveva, il foreign fighter ha stretto la mano ai poliziotti in segno di rispetto.

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