«C’è gente che vive sparlando degli altri, accusando gli altri e mai pensa a se stesso», di certo così «non si può camminare nella vita cristiana». Dopo aver definito «ipocrita» durante l’Angelus di domenica chi vive con «superbia e avarizia» e poi condanna il prossimo, e dopo aver denunciato i «cani selvaggi» che cercano solo «scandalo e divisione», Papa Francesco scoperchia un altro atteggiamento ambiguo di chi si proclama credente e fedele al Vangelo e alla Chiesa ma poi vive nella continua accusa e critica dell’altro. Lo fa durante la messa mattutina nella Casa Santa Marta, la terza dopo la pausa estiva e dopo la tempesta post pubblicazione del memoriale dell’ex nunzio Viganò che sembra in questi giorni andare acquietandosi. «Un segnale che un cristiano non sa accusare se stesso è quando è abituato ad accusare gli altri, a sparlare degli altri, a mettere il naso nella vita altrui. È ciò un brutto segnale. Io faccio questo? È una bella domanda per arrivare al cuore», dice Bergoglio nella sua omelia riportata da Vatican News.

Spunto per la riflessione è come sempre il Vangelo: quello di oggi è il brano di Luca sulla «pesca miracolosa» di Pietro in cui Gesù chiede poter salire sulla barca e, dopo aver predicato, invita l’apostolo a gettare le reti. Ritirandole Pietro vede che quasi si rompevano per la grande quantità di pesci, allora si getta alle ginocchia di Cristo e dice: «Signore, allontanati da me perché sono un peccatore». Ecco, osserva il Papa, questo è il primo passo decisivo sulla strada di discepolato, accusare se stesso, ammettere «sono un peccatore». «Non è facile», ammette Papa Francesco, seppur tutti «sappiamo di essere peccatori». Sì, «noi siamo tanto abituati a dire: “Sono un peccatore”, ma nello stesso modo in cui diciamo: “io sono umano” o “io sono cittadino italiano”. Accusare se stessi è invece sentire la propria miseria: “sentirsi miserabili”, miseri, davanti al Signore. Si tratta di sentire vergogna. Ed è qualcosa che non si fa a parole ma con il cuore, cioè è un’esperienza concreta come quando Pietro dice a Gesù di allontanarsi da lui peccatore: “si sentiva un peccatore davvero” e poi si sentì salvato».

«La salvezza che ci porta Gesù ha bisogno di questa confessione sincera perché non è una cosa “cosmetica”, che ti cambia un po’ la faccia con due pennellate: trasforma ma, perché entri, bisogna farle posto con la confessione sincera dei propri peccati».

«Quando vado a confessarmi - domanda Bergoglio - come mi confesso, come i pappagalli? “Bla, bla, bla… Ho fatto questo, questo…”. Ma il cuore ti tocca quello che hai fatto? Tante volte, no. Tu vai lì a fare la cosmetica, a truccarti un po’ per uscire bello. Ma non è entrato nel tuo cuore completamente, perché tu non hai lasciato posto, perché non sei stato capace di accusare te stesso».

Allora «dobbiamo convertirci», afferma il Papa, e per farlo il primo passo è accusare se stessi con vergogna e poi provare lo stupore di sentirsi salvati. Inoltre, «dobbiamo fare penitenza», esorta il Vescovo di Roma, ed evitare di cadere nella tentazione di accusare gli altri. Anzi, è proprio una grazia da chiedere al Signore quella che di imparare ad accusare se stesso e non gli altri. «Chiediamo oggi al Signore la grazia, la grazia di trovarci davanti a Lui con questo stupore che dà la sua presenza e la grazia di sentirci peccatori, ma concreti e dire come Pietro: “Allontanati da me perché sono un peccatore”».

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