Si è concluso ieri 7 settembre, a Bratislava, l’incontro dei rappresentanti delle Conferenze episcopali dell’Europa centro-orientale che ha riunito rappresentanti degli Episcopati di Slovacchia, Repubblica Ceca, Polonia, Ungheria, Croazia, Ucraina, Slovenia, Bosnia ed Erzegovina, oltre alla Conferenza internazionale dei SS. Cirillo e Metodio e la presidenza del Ccee. I partecipanti all’incontro, in presenza del nunzio apostolico in Slovacchia, hanno celebrato la messa nella cattedrale di San Martino, presieduta dal cardinale Angelo Bagnasco, presidente del Ccee. A conclusione dell’evento hanno poi diffuso una nota in cui approfondiscono le diverse questioni che riguardano la missione della Chiesa tra le attuali circostanze culturali e sociali dell’Europa centro-orientale.

In particolare, i presuli si dicono «negativamente colpiti dall’esodo dei loro giovani all’estero. Non si può ignorare che la causa principale di questo fenomeno risiede nel fatto che i Paesi dell’Europa centro-orientale, nonostante la loro adesione al mondo occidentale, nel corso degli ultimi trent’anni ancora non sono stati integrati come partner uguali - e le differenze negli stipendi medi tra i Paesi dell’Occidente Europeo e del centro-est Europeo sono rimaste enormi. Sarà, quindi, necessario - scrivono - trovare un altro modo d’integrazione di questi Paesi nel mondo occidentale: un modo che meglio garantisca l’uguale dignità di questi Paesi e dei loro cittadini».

I vescovi si rivolgono anche ai governi delle loro nazioni per chiedere di «dedicare una maggiore attenzione alla riforma dell’educazione, come anche ai giovani che tante volte lasciano i propri Paesi a causa delle scarse condizioni sociali, cercando il lavoro all’estero, dove possono trovare sicurezze sociali migliori per matrimonio e famiglia». La speranza è che anche il prossimo Sinodo sulla gioventù e pastorale delle vocazioni porterà «tanti impulsi utili per la vita della Chiesa».

Durante i lavori a Bratislava si è riflettuto inoltre sul fatto che la società di oggi, nella quale molti cedono al consumismo», sia «sempre più confrontata con il rischio di essere ingiusta verso coloro che – nello spirito della mentalità odierna - sembrano inutili, perché incapaci di prestare rendimento. La società non può disfarsi dei propri membri solo perché non sono in grado di fornire prestazioni». I presuli fanno appello ai rappresentanti pubblici «perché assicurino condizioni adeguate per offrire una cura dignitosa dei malati, degli anziani e delle persone alle periferie della società. Bisogna fare tutto il possibile perché questi possano avere una vita degna, e nonostante le loro limitazioni siano percepiti dalla società come membri uguali. Per migliorare tutte queste prestazioni è, però, necessario che i Paesi dell’Europa centro-orientale siano trattati equamente nei rapporti economici del mondo occidentale».

«L’Europa è radicalmente cambiata dopo la caduta della cortina di ferro. La libertà riacquistata dalle nazioni dell’Europa centro-orientale è motivo di gioia», si legge ancora nella nota. Allo stesso tempo i vescovi si rendono conto che «tanti cittadini dei loro Paesi percepiscono una grande incertezza. La crisi migratoria ha mostrato che non è facile superare le differenze mentali e culturali che esistono tra Oriente e Occidente». Osservano, tuttavia, di essere tenuti a collaborare: «Non è possibile essere indifferenti nei confronti delle persone che - cercando un futuro migliore per se stessi e per le loro famiglie – si trovano in pericolo di morte o soffrono di fame e carestia. Bisogna fare tutto il possibile per aiutare i loro Paesi d’origine, per risolvere i problemi che causano le migrazioni».

Gli episcopati dell’Europa centro-orientale esprimono infine la preoccupazione «per la diffusione dell’ideologia gender: «Bisogna fare del tutto affinché l’Europa torni alle radici naturali e cristiane. Le sue istituzioni, comprese le corti, dovrebbero rispettare l’autonomia dei paesi dell’Europa centro-orientale nella sfera culturale ed etica», affermano. Altrettanta inquietudine viene espressa per «le decisioni sovranazionali che impongono, a volte in modo indiretto, soluzioni in contrasto alle costituzioni e culture dei singoli Paesi, approfondendo così le alienazioni e agendo contro l’integrazione». Da qui la richiesta ai rappresentanti dei governi di «rifiutare la ratifica del Protocollo di Istanbul, o di revocare la firma».

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