Le vicende di queste ultime settimane hanno fatto tornare indietro le lancette dell’orologio ad uno periodo burrascoso della Chiesa contemporanea scatenando reazioni polemiche e altrettanto sconcerto. Nel marasma generale affiorano nuove denunce o se ne ripropongono alcune già passate al vaglio della magistratura: è quanto accade in queste ore a Lione con i pesanti attacchi contro il cardinale Philippe Xavier Ignace Barbarin, a due anni di distanza dall’archiviazione dell’inchiesta giudiziaria.

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I fatti sui quali era stato messo sotto accusa nel mese di marzo 2016 avevano scosso la diocesi francese di cui Barbarin, 67 anni, era ed è attualmente arcivescovo. L’inchiesta giudiziaria riguardavaun prete, Bernard Preynat, accusato a fine gennaio di quell’anno di abusi compiuti in un gruppo di scout tra il 1986 e il 1991 (le vittime all’epoca avevano dagli 8 agli 11 anni), ma i fatti conducevano inevitabilmente ai vertici, all’arcivescovo cardinale, un pastore assai noto soprattutto nell’era pre-Bergoglio per la disinvoltura con cui scendeva in piazza accanto ai manifestanti in difesa della famiglia e per le sue parole chiare contro alcune decisioni del governo. Una vicenda sulla quale far luce diventava oltremodo complicato anche per il fatto che, all’epoca dei fatti arcivescovo di Lione era Albert Decourtray, deceduto nel 1994.

L’accusa nei confronti del successore Barbarin era quella di «occultamento di crimine», insabbiamento che il cardinale ha sempre negato, consapevole della «gravità della situazione», assicurando immediatamente tutta la sua disponibilità a far luce sulla vicenda (nel corso della Quaresima 2016 aveva anche chiesto scusa alle vittime a nome dell’intera comunità diocesana). Barbarin in un’intervista a La Croix dell’11 febbraio, ammetteva di esserne venuto a conoscenza già negli anni 2007-2008 del caso e di aver allontanato padre Preynat, reo confesso davanti all’autorità giudiziaria, dalla sua parrocchia di Roannais il 29 luglio 2015.

A maggiol’incontro in Vaticano con Papa Francesco aveva posto fine alle tante voci che chiedevano le sue dimissioni. «Non si abbandona una nave nella tempesta» dichiarava Barbarin su Le Figaro del 21 maggio al rientro. Papa Bergoglio, in un’intervista a La Croix del 17 maggio esprimeva fiducia nella magistratura astenendosi da ogni giudizio. Nel frattempo i vescovi francesi, nel corso dell’assemblea plenaria di primavera a Lourdes, sotto la guida del presidente, l’arcivescovo di Marsiglia George Pontier, avevano introdotto linee guida di ancora maggior fermezza («la violenza subita non va in prescrizione») introducendo le cosiddette «cellule di sorveglianza» per una lotta permanente alla pedofilia.

Il 1° agosto 2016 l’archiviazione definitiva della vicenda per superamento dei termini della prescrizione. I riflettori da quel momento si erano spenti sulla vicenda e la bufera mediatica sembrava passata. Salvo ritornare poco più di due anni dopo.

Quali i fatti nuovi? Il 21 agosto il quotidiano Le Monde pubblicava la notizia che, all’indomani della pubblicazione da parte di Papa Francesco dell’appello a tutta la Chiesa sul tema della pedofilia, un prete della diocesi di Valence aveva lanciato una petizione per chiedere le dimissioni del cardinale Barbarin per l’omissione della denuncia di abusi sessuali. «In seguito alla Lettera di Papa Francesco al popolo di Dio [...] Le chiedo di dare le sue pubbliche e irrevocabili dimissioni da cardinale e arcivescovo di Lione nel più breve tempo possibile», ha scritto padre Pierre Vignon, che è giudice canonico della sua diocesi, invitando i suoi confratelli a firmarla «così come tutti i membri della Chiesa che sono consapevoli della gravità del danno arrecato alle vittime degli abusi».

Per la cronaca già nel marzo 2016, una petizione online avviata da un giovane studente in Scienze politiche che chiedeva le «dimissioni immediate» del cardinale Barbarin aveva raccolto in breve tempo oltre 70 mila firme. «Non mi dilungherò sulle tue reticenze riguardo alla conoscenza dei fatti criminali commessi da Bernard Preynat né sul tuo atteggiamento di attesa prima di prendere decisioni. Non insisterò ulteriormente sul fatto che Bernard Preynat è ancora un prete e che non ha ricevuto alcuna condanna in nessuna forma», aggiunge Vignon che ammette che per Barbarin questo passo rappresenterebbe la sua «morte sociale», ma conclude lapidario: «Ti dimostreresti finalmente all’altezza dell’evento».

L’appello – che ha già superato le 100mila firme - è stato poi esteso e diffuso dai presidenti delle associazioni delle vittime di Francia e d’Europa. Su richiesta degli avvocati delle vittime, Barbarin dovrebbe già comparire (si parla di gennaio 2019) dinanzi al Tribunale penale di Lione in sede di citazione diretta, ma il processo, già rinviato una volta, rischia un nuovo rinvio per motivi procedurali. Le accuse riguardano infatti anche l’attuale prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, lo spagnolo Luis Francisco Ladaria Ferrer, ma l’udienza è stata posticipata per mancanza di trasmissione, entro i termini, della convocazione a comparire.

«Questa decisione ci ha sorpreso, ma la rispettiamo» aveva dichiarato Emmanuelle Haziza, una degli avvocati delle vittime all’indomani dell’archiviazione, necessaria per via dei tempi di prescrizione. L’avvocatessa ha sempre sostenuto la richiesta di tener conto della risposta del 3 febbraio 2015 a firma dell’arcivescovo Ladaria, allora segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede che, «dopo aver attentamente studiato il caso di Bernard Preynat» raccomandava «una sanzione adeguata, evitando pubblico scandalo». Di qui l’iter giudiziario in corso.

Intervistato per il quotidiano Libération , il 22 agosto, il sessantenne Vignon appare tranquillo dichiarando che «dobbiamo porre fine alla cultura dell’occultamento» e giustifica il suo gesto con la venuta alla luce degli scandali «mostruosi» in Cile e negli Stati Uniti. L’ultima goccia sarebbe stata la Lettera del Pontefice così ha deciso di prendere carta e penna anche lui «per non essere considerato complice». «Ammetto di essere incosciente o temerario, ma in coscienza sento di aver fatto il mio dovere», dichiara ricordando il padre decorato con la Legion d’Onore per la sua attività durante la Resistenza e uno zio prete. Da oltre 25 anni Vignon ha lavorato al Tribunale ecclesiastico trattando anche casi di vittime di abusi sessuali: «Nel mio ministero ricevo reclami da parte delle vittime, conosco le relazioni degli esperti sui preti abusatori e sono ben allenato su questi temi». La sua petizione è stata subito sottoscritta anche da alcuni figli delle vittime e da loro amici: «Non l’hanno fatto solo per solidarietà – confessa Mathurin, 19 anni, a La Croix che raccoglie opinioni diverse tra i fedeli – ma perché rifiutano queste istituzioni e sono convinti che la Chiesa potrà cambiare solo dopo aver fatto pulizia».

Secondo le associazioni che rappresentano le vittime il suo gesto rappresenta un inedito all’interno della Chiesa francese: «Questa è la prima volta che abbiamo sentito parole così forti pubblicamente», dice a Libération all’indomani della petizione François Devaux, presidente di “La Parole libérée”, l’associazione che aiuta le vittime scout abusati da padre Preynat che già nel 2016 aveva chiesto al Papa le dimissioni del cardinale. «Uno tsunami che in solo 24 ore ha raccolto oltre 8mila firme». Su FranceInfo anche Daniel Duigou, 70 anni, prete, giornalista e psicologo della diocesi di Amiens ora a Parigi, attacca violentemente il cardinale: «Non è più degno di guidare la diocesi».

Il cardinale Barbarin finora tace, come del resto non si è ancora giunta alcuna dichiarazione dal Vaticano, ma in sua difesa si sono levate alcune voci autorevoli. Christian Delorme, 68 anni, prete della diocesi di Lione impegnato nel dialogo interreligioso, ha affermato: «Se entriamo nella logica di Vignon si renderebbero necessarie le dimissioni anche del Papa». Da parte della diocesi la risposta di monsignor Emmanuel Gobilliard, 50 anni,vescovo ausiliare di Lione e teologo morale, che ricorda come il cardinale abbia presentato le sue dimissioni al Papa già nel 2016. «Non ha capito lo spirito della Lettera del Papa» ribatte Vignon. «Se la petizione ha incontrato un tale consenso significa che era quello che tanti si aspettavano. Questo mi dà tanta pace».

Sul settimanale francese La Croix International il 3 settembre una lunga difesa di Barbarin a firma di Jean-Pierre Batut, vescovo di Blois ed ex ausiliare di Lione, e Pierre-Yves Michel, vescovo di Valence, già vicario generale di Lione, e Pierre Durieux, già a capo della segreteria del cardinale. «Naturalmente, le persone hanno diritto alle proprie opinioni. Possono firmare le loro petizioni e rendere pubblica tutta la loro indignazione su questi crimini vergognosi – affermano gli autori dello scritto – tuttavia, per quanto ci riguarda, abbiamo il diritto di testimoniare alcuni fatti oggettivi nei confronti del cardinale Philippe Barbarin, con il quale abbiamo lavorato rispettivamente per sei, sette e dieci anni. E riconosciamo che è nostro dovere farlo».

Segue una lunga lista di fatti da loro riconosciuti come emblematici della posizione del cardinale riguardo al contrasto della pedofilia, fatti che, ricordano, sono stati anche pubblicamente elogiati dai rappresentanti delle vittime.

Sono testimoni del fatto che il porporato ha voluto ascoltare di persona ciascuna delle vittime condividendo la loro immensa sofferenza, che ha sempre mostrato un’opposizione più che severa nella lotta contro la pedofilia, affermando: «Chiunque abbia commesso atti di abuso sessuale su un minore, indipendentemente dalle date dell’abuso e della sua scoperta, sarà definitivamente rimosso da ogni ministero». Ricordano altresì che «fu lui a sospendere padre Preynat dal ministero e lo bandì dalla celebrazione dei sacramenti, anche in privato».

I firmatari denunciano anche una certa qual scorrettezza giornalistica (una giornalista si era anche fatta passare per vittima) riguardo alle decisioni giudiziarie e sulla cronologia degli eventi «consentendo alle persone di credere che il cardinale Barbarin fosse responsabile della copertura degli eventi». Ma soprattutto affermano; «Siamo testimoni del fatto che, pur in questa situazione, l’arcivescovo è rimasto un uomo di Dio, prega, è concentrato sulla sua missione con la passione di sempre, è impegnato nel dialogo, per intenderci è “creativo, coraggioso e missionario”, come scriveva Francesco».

E concludono: «Ogni vescovo, in piena solidarietà con il suo popolo, cui ha dedicato la sua vita, sa di essere chiamato a svolgere la sua missione sino in fondo. Se il cardinale Barbarin rimane l’arcivescovo di Lione o no, è una questione che riguarda lui. La nostra responsabilità è di rimanere nella verità, la “verità che rende liberi” (Giovanni 8,32)».

Solo i prossimi giorni potranno dire quali sviluppi saranno in grado di riportare serenità in una diocesi ancora una volta scossa dalla bufera mediatica».

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