È difficile decidere da quale data cominciare la storia del razzismo. Le basi del razzismo europeo vanno individuate in quelle correnti intellettuali che nell’Europa Occidentale e Centrale acquistarono importanza durante il XVIII secolo , e cioè le nuove scienze dell’Illuminismo e un certo risveglio economico-sociale. Il razzismo in realtà non è stato il frutto di un particolare sviluppo nazionale o etico, ma una visione del mondo che ha rappresentato una sintesi del vecchio e del nuovo, una “religione laica” che ha cercato di appropriarsi di tutto ciò a cui l’umanità aspirava. Perciò l’inizio della storia del razzismo europeo si deve collocare nel secolo XVIII. Qualunque precedente possa essere scoperto in epoche più lontane, fu in questo secolo però che la struttura del pensiero razzista si consolidò e assunse le precise connotazioni poi mantenute fino ad oggi.

I miti razzisti non solo spiegavano il passato e aprivano una speranza per il futuro ma, dando rilievo agli stereotipi, rendevano concreto ciò che era astratto. Gli stereotipi razzisti fecero sì che la teoria diventasse, in maniera semplice e diretta, qualcosa di vivo. Gli stereotipi della bellezza si erano formati sin dai primissimi tempi della storia del razzismo europeo: alla loro creazione avevano contribuito le idee estetiche del tempo ed essi fecero dell’apparenza esteriore dell’uomo un simbolo della condotta del suo animo. Dal XVIII secolo sino a quando i nazisti se ne servirono nella realizzazione dell’Olocausto, questo stereotipo non è mai cambiato. Il paragone tra il tipo dell’uomo virile, ellenistico e quello dell’uomo «imperfetto», e la contrapposizione tra l’ariano dalle proporzioni greche e i tratti somatici dell’ebreo fecero del razzismo una ideologia incentrata su fattori visivi; e questa insistenza sull’elemento visivo a sua volta, rese più facile alla gente comprendere la critica violenta dell’ideologia.

Lo stereotipo non è mai mutato, sia quando il razzismo ha tentato di istituire un legame con la scienza attraverso l’antropologia o l’eugenetica e praticando la sperimentazione e l’osservazione scientifiche, sia quando ha postulato teorie su «sostanze vitali» razziali, che niente avevano a che fare con la scienza moderna, le diverse qualità attribuite sin dal principio allo stereotipo già presagivano il tentativo nazista di convertire il mito in realtà. Allo stereotipo venivano attribuite qualità buone o cattive a seconda che si scrivesse su una razza o un’altra.

Il razzismo non ha avuto un padre fondatore e questa è stata una delle sue forze. Esso si è alleato con tutte le virtù tanto apprezzate dall’età moderna e le qualità da lui preferite furono la pulizia, l’onestà, la serietà morale, il duro lavoro e la vita familiare, quelle cioè che durante il secolo XIX assursero a simbolo degli ideali della classe media, e da quella classe essi si diffusero negli stati superiori e inferiori di tutta la società europea, soppiantando lo stile di vita frivolo, disonesto e pigro che secondo i rispettabili uomini e donne del XIX secolo era incarnato dai propri immediati ascendenti. Il razzismo non fu semplicemente una forma di darwinismo sociale, ma una ideologia composita che aveva attribuito le virtù, la morale e la rispettabilità dell’epoca ai suoi stereotipi e le aveva ritenute qualità innate della razza superiore.

Il razzismo si è appropriato delle virtù dell’epoca, e ha condannato come degenerato tutto ciò che era l’esatto contrario di tale rispettabilità. Pur essendo vago, il razzismo ha fatto suoi tutti i valori della rispettabilità borghese e ha proclamato di esserne il difensore.

Il razzismo con la sua vasta penetrazione e i suoi collegamenti contagiò spesso uomini e donne che non erano affatto razzisti o il cui razzismo era estremamente ambiguo; tuttavia esso, con le sue capacità di tutto raccogliere, si impossessò anche delle loro idee. Il razzismo dovette pur cercare da qualche parte i suoi stereotipi e la sua teoria dell’ereditarietà e a volte scelse ciò che vi era di meglio. Questo a sua volta avrebbe conferito nuova rispettabilità all’ideologia. I confini del pensiero razziale sono sfuggenti e ingannevoli come l’ideologia nel suo complesso. Eppure malgrado tutto ciò il mito fu effettivamente trasformato in realtà e non solo durante l’Olocausto e nei campi, ma ovunque la gente comune abbia espresso sul proprio simile giudizi basati su una sottintesa accettazione dello stereotipo razziale.

L’Olocausto è ormai purtroppo avvenuto, ma il razzismo stesso è sopravvissuto e non è diminuito il numero di coloro che pensano secondo categorie razziali. Non vi è nulla di provvisorio nell’imperituro mondo degli stereotipi ed è questa l’eredità che il razzismo ha lasciato ovunque. Se sotto lo shock dell’Olocausto il mondo post-bellico ha proclamato una temporanea sospensione dell’antisemitismo, il colore della pelle è però in genere rimasto inchiodato in una collocazione razziale che non è mai molto cambiata dal XVIII secolo ai nostri giorni. Nazioni che pure avevano combattuto contro il nazionalsocialismo hanno continuato ad accettare l’idea dell’inferiorità di alcune razze ancora molti anni dopo la fine della guerra e non sembra che abbiano compreso che tutti i razzismi, siano essi diretti contro le persone di colore, contro gli ebrei o contro il diverso, sono sempre fatti della medesima stoffa.

* Vicario episcopale per il laicato e la cultura della Diocesi di Trieste

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