Grace Akullo, infermiera cattolica 27enne, è stata vittima consapevole dell’ebola in Uganda nel 2000. È morta curando i malati e cantando le lodi di Dio. Lita Castillo, 22 anni, era una suora domenicana dell’Annunciata uccisa in Cile nel 2001, in una zona disagiata, da criminali penetrati nel dormitorio delle religiose e che le hanno dato fuoco. Gli animatori salesiani Anwar e Misho Samaan avevano solo 17 e 21 anni quando la loro vita è stata strappata nel tragico conflitto siriano, nel 2005. Fransiskus Madhu, 30 anni, missionario verbita, è stato freddato da malviventi nelle Filippine nel 2007, mentre si apprestava a celebrare messa. Questi e altri racconti sono tra le oltre cento storie di giovani uccisi negli ultimi vent’anni, mentre svolgevano la loro attività pastorale o missionaria, e che hanno reso la loro testimonianza di fede con coraggio e serenità, fino essere chiamati a rendere a Dio la loro stessa esistenza.

«Gesù invita ogni suo discepolo al dono totale della vita, senza calcolo e tornaconto umano. I santi accolgono quest’invito esigente e si mettono con umile docilità alla sequela di Cristo crocifisso e risorto». Con questo passaggio dell’Instrumentum laboris del Sinodo dei vescovi che, in corso in Vaticano, riflette sulla vita dei giovani nella Chiesa, si sintonizza l’approfondimento pubblicato dall’agenzia Fides, servizio informativo delle Pontificie Opere Missionarie, sui «giovani missionari martiri». Sono quei sacerdoti, religiosi e laici che, nel terzo millennio, hanno testimoniato il Vangelo fino al dono supremo della vita, in realtà di miseria, tensione, conflittualità, violenza, nei cinque continenti.

 

Già nel 1990 - ricorda la Fides - nell’enciclica Redemptoris Missio, Giovanni Paolo II richiamava tutti i battezzati a impegnarsi perché «il messaggio del Signore si diffondesse fino agli estremi confini della terra». Questo appello, in questo primo scorcio del nuovo millennio, segnato da eventi di violenza e terrore in ogni continente, «non ha lasciato indifferenti tanti battezzati, tanti giovani, che hanno maturato la loro vocazione missionaria prendendo le strade del mondo», ricorda l’agenzia che ha sede nel Dicastero vaticano di Propaganda Fide.

Il percorso di vita, per alcuni di loro, si è interrotto violentemente, in quanto «accogliere la missione implica la disponibilità di rischiare la propria vita e percorrere la via della croce, sulle orme di Gesù», sottolinea il documento preparatorio al Sinodo, incentrata su “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”.

I giovani segnalati dall’agenzia Fides non hanno esitato a «uscire dalla loro zona di confort» e «a mettere la propria vita nelle mani del Signore per annunciare il suo Vangelo, testimoniandolo anche attraverso la loro semplice presenza in contesti particolarmente difficili: tra le corsie di un ospedale, con i bambini abbandonati, raggiungendo una piccola comunità cattolica sperduta, facendo gli animatori di un oratorio in piena guerra», si spiega.

Si badi bene, però: non sono in alcun modo «giovani speciali», bensì sono «giovani dei nostri tempi, simili a tanti loro coetanei». Sono quei «giovani della porta accanto», amanti della musica o della danza, presenti sui social media, che «si sono preparati spiritualmente e culturalmente ad affrontare realtà diverse dalla loro», senza eroismi, ma in una vita che è stata fecondata dalla grazia di Cristo.

Come sottolinea l’arcivescovo Giovanni Pietro Dal Toso, presidente delle Pontificie Opere Missionarie, «nella Chiesa antica ci sono stati molti giovani martiri. Pensando a loro, si può dire che la testimonianza di fede, anche di sangue, non conosce limiti: la chiamata al dono della vita tocca ogni battezzato, e i giovani possono dare un prezioso esempio. Quando si è più giovani si ha un forte slancio e disponibilità a dare la propria vita. C'è tanta generosità nel cuore dei giovani. Non credo che i giovani di oggi siano meno generosi rispetto alle generazioni del passato».

Il dossier di Fides include, tra gli oltre cento profili biografici presentati, fedeli di diversi stati di vita (sacerdoti, religiose, seminaristi, laici), impegnati in circostanze e luoghi geografici più disparati: accomunati dall’età (under 40) e dalla profonda spinta missionaria che li ha motivati. Questi giovani hanno provato e vissuto quella «santa inquietudine», di cui spesso parla Papa Francesco. L’amore di Cristo li ha spinti ad incontrare il prossimo, soprattutto i più disprezzati, abbandonati, dimenticati, incuranti di sacrificare una vita comoda e in qualche caso agiata, felici di donare la loro vita «per offrire a tutti la vita di Gesù Cristo».

Lo Spirito Santo - nota il documento di Fides - «li ha spinti ad andare in missione nel nome del Signore» e oggi «il loro sangue versato continua a dare vita alla Chiesa di Cristo nel terzo millennio». 

Così afferma, in modo paradigmatico, l’arcivescovo Marampudi Joji, alla guida della diocesi indiana di Hyderabad, commentando la morte del giovane prete carmelitano Thomas Pandippallyil, ucciso in India nell’agosto 2008: «Padre Thomas è un martire. Ha sacrificato la propria vita per i poveri e gli emarginati. Ma non è morto invano, il suo corpo e il suo sangue feconderanno la Chiesa indiana». Il sacerdote è stato assassinato mentre tornava da un villaggio dove aveva celebrato la messa domenicale. Il cadavere, lasciato sulla strada, presentava numerose ferite al volto, mentre le mani e le gambe erano state spezzate. L’arcivescovo nega con forza l’attività di «proselitismo e conversioni forzate» che sarebbe stata pretesto dell’omicidio. I tanti operatori pastorali sono solo “colpevoli” di lavorare e portare la buona novella dell'amore di Cristo nelle zone più povere e abbandonate del Paese, impegnata a sostenere quanti sono vittime di violenze e oppressioni, a restituire dignità a poveri e lebbrosi, anch’essi figli amati di Dio. Fino agli estremi confini della terra.

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