L’analisi dei più recenti dati sulle migrazioni a livello globale parla chiaro: non esiste nessun “esodo biblico” verso l’Europa. Il 60% delle migrazioni globali sono interne al Paese di provenienza o terminano nella stessa “area” del Pianeta. Le popolazioni che migrano di più sono quelle asiatiche, 105 milioni nel 2017, e europee, 61 milioni. Sempre nel 2017, su 31 milioni di migrati africani registrati dalle Nazioni Unite, oltre la metà (19,4 milioni) è rimasta nel suo continente d’origine. Scenari apocalittici di spostamenti continentali appaiono quindi infondati.

Per capire le migrazioni è fondamentale capire perché queste persone decidono di abbandonare la propria terra e la propria famiglia. Molti migranti decidono di raggiungere l’Europa anche se nel loro Paese non ci sono guerre, carestie o persecuzioni, per migliorare le proprie condizioni di vita e cercare un po’ di fortuna nel mondo occidentale. Diversa invece la situazione di chi fugge dal proprio Paese e viene qui a chiedere asilo politico: «Vivono in Paesi dove ci sono guerre, persecuzioni, epidemie, carestie, povertà, esclusione sociale e assenza di prospettive per sé e per i propri cari» scrive Luigi Montagnini, di Medici senza Frontiere, nel nuovo libro di Duccio Facchini “Alla deriva” edito da Altreconomia. L’obiettivo del testo è quello di smontare punto per punto i luoghi comuni sulle migrazioni, dati alla mano, e fare luce sulla reale situazione delle tratte del Mar Mediterraneo.

Andando a vedere “a casa loro” quali sono le condizioni di vita, scopriamo che solo nel 2017 sono stati uccisi oltre 15mila civili da armi esplosive mentre, nello stesso anno, venivano spesi 1.739 miliardi di dollari a livello globale in armamenti: 230 dollari per ogni abitante della Terra. «Il mondo è in guerra ed è ben armato – scrive Facchini -, anche se tendiamo a rimuoverlo».

Ma non sono solo le guerre a far fuggire le persone. Secondo gli ultimi dati delle Nazioni Unite oltre 800 milioni di persone vivono con meno di 1,90 dollari al giorno. Anche i disastri ambientali obbligano spesso le persone a migrare, sempre secondo l’Onu, sono circa 2 miliardi gli individui nel mondo che vivono in una condizione di “stress idrico”.

I più coraggiosi, che oltre a lasciare la loro casa decidono di lasciare anche il loro Paese, iniziano così la loro avventura. Viaggi interminabili nel deserto, trattamenti disumani, ricatti, violenze, intimidazioni e torture subìte nei centri di detenzione libici, per arrivare alla costa e tentare una disperata traversata in direzione della “Fortezza europea”: ecco servito il racconto delle “crociere” dei migranti.

Ma come siamo arrivati a questo punto? Il racconto storico delle trasformazioni sociali e politiche che hanno coinvolto il Mediterraneo, dall’approdo del primo mercantile Vlora nel porto di Bari del 8 agosto 1991 con a bordo 16mila migranti albanesi, fino alle ultime vicende legate alle navi Aquarius e Diciotti di quest’estate, è molto utile a rispondere a questa domanda.

Passando in rassegna tutti i diversi approcci e le diverse politiche in tema di immigrazione che si sono susseguiti negli anni a livello nazionale ed europeo, emerge che fin dal principio l’obiettivo del nostro Paese, e dell’Unione Europea, è sempre stato quello di “contenere” i flussi, arrestarli, interromperli. Viene dimostrato che nonostante gli sbarchi siano in continua diminuzione, grazie al crescente potere nelle mani della Guardia costiera libica, il numero di vittime continua a crescere. I viaggi in mare sono sempre più pericolosi e i metodi di soccorso utilizzati dai libici non garantiscono la sicurezza delle persone.

L’Europa si chiude sempre più nella sua fortezza e gli Stati membri che la compongono fanno lo stesso, ignorando i trattati alla base della stessa Unione creano nuove frontiere interne: Ventimiglia, Bardonecchia e Bolzano solo per citare le più vicine a noi. Quello che è mancato, in conclusione, è la realizzazione di un effettivo sistema unico di asilo europeo: sarebbe dovuto arrivare nel 2018 tramite un Regolamento sulle procedure di riconoscimento, un Regolamento in materia di qualifiche della protezione internazionale, un nuovo Regolamento di Dublino e una nuova Direttiva in materia di accoglienza, tutte riforme urgenti su cui non si è ancora riusciti a trovare un accordo.

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