La caduta del Papa al ritorno a Santa Marta e un possibile viaggio in Madagascar nel 2019 sono state le due notizie che hanno rispettivamente aperto e chiuso il briefing quotidiano in Sala Stampa vaticana sul Sinodo dei giovani, che ha concluso in questi giorni i lavori dei Circuli minores suddivisi per lingua.

Prima che l’informazione di diffondesse «per altri canali», il portavoce Greg Burke ha voluto riferire ai giornalisti che Francesco «nel tornare a Santa Marta è inciampato ed è caduto. Si è rialzato, tranquilli, sta bene», ha detto passando poi la parola al cardinale Desiré Tsarahazana. L’arcivescovo di Toamasina in Madagascar, che ha ricevuto la porpora nel Concistoro del giugno scorso, dopo aver condiviso con i numerosi giornalisti presenti al briefing le impressioni positive su questo primo suo Sinodo, si è congedato con una notizia: «Siamo stati i primi noi, i vescovi del Madagascar, a chiedere al Papa che venga a trovarci e devo dire che verrà da noi nel 2019». Interpellato a riguardo, Burke ha tagliato corto: «Non posso confermare ma posso dire che questa possibilità viene studiata con molta cura». 

Prima che fossero gli ospiti – oltre al cardinale Tsarahazana, anche i cardinali Oswald Gracias, presidente della Conferenza episcopale indiana e membro del C9, Gérald Cyprien Lacroix, arcivescovo di Québec, e l’uditrice suor Nathalie Becquart – a prendere la parola, il prefetto del Dicastero per la Comunicazione Paolo Ruffini ha riportato stralci delle conclusioni emerse nei Circoli minori, insistendo in particolare sull’opinione condivisa dai padri di una Chiesa che si sta mostrando «sempre più sinodale, non autoreferenziale».

Anche il dibattito in aula, ha detto Ruffini, «non è precostituito ma l’opera di un discernimento collettivo», in cui «i giovani e i padri sinodali stanno riscoprendo tante cose in comune» a livello religioso, sociale, culturale. La volontà è «di parlare il linguaggio del tempo presente, incluso quello digitale»; proprio per questo si stanno studiando forme di comunicazioni diverse, fruibili dalle nuove generazioni, e anche lo stesso messaggio conclusivo del Sinodo sarà redatto in un linguaggio in linea con quello utilizzato dai giovani che comprenda contenuti multimediali.

Di «clima fraterno» ha parlato anche il cardinale Gracias, spiegando che nel dibattito generale non è mancata una menzione di questa stagione di turbolenze intraecclesiali, dovute in particolare alla crisi degli abusi. «La Chiesa certamente non vuole stare sulla difensiva», ha chiarito il porporato indiano riportando la sua esperienza di moderatore di uno dei Circoli in lingua inglese dove erano «i vescovi a volerne parlare, quindi abbiamo messo da parte lo schema e abbiamo discusso approfonditamente». La preoccupazione di tutti è quella di esaudire la richiesta dei giovani di «una Chiesa più autentica»: «Stiamo cercando di farlo. Ci sono stati fallimenti di politiche e di sistemi, questo deve essere corretto con coraggio e fiducia», ha affermato il cardinale. 

A riguardo, ha fatto eco Lacroix, dai Circoli in lingua francese è stata avanzata la proposta di «offrire una migliore formazione soprattutto per il clero sui temi del corpo, dell’affettività e della sessualità». Quello degli abusi, ha detto il prelato canadese, «fa parte della nostra esperienza, noi l’abbiamo menzionato perché rientra nella nostra realtà. Non siamo stati timidi nel parlarne»; in ogni caso «ci sono tanti altri temi da affrontare» e il punto è che «tutti i battezzati dovrebbero avere una vita coerente con una migliore testimonianza della fede».

Da parte dei giovani in aula, in rappresentanza delle migliaia nel mondo, e degli anziani padri sinodali c’è un desiderio condiviso «di far muovere le cose, di andare avanti», ha sottolineato suor Becquart, che ha paragonato la macchina sinodale ad «una barca barca dove siamo tutti insieme per navigare in questo mondo che ci emoziona tanto» e che «ormai ha preso il largo». In tutti gli interventi, ha aggiunto la religiosa ex direttrice del Servizio nazionale per l’Evangelizzazione dei giovani e per le vocazioni della Conferenza episcopale francese, «mi colpisce l’umiltà, un volto della Chiesa che riconosce le sue fragilità e che procede in un percorso di conversione, senza paura di dare nome a fallimenti e impotenze».

Più concentrato sulle impellenze e le problematiche del microcosmo africano, l’arcivescovo Tsarahazana ha voluto riportare invece la voce di tanti giovani del suo Paese. Una terra dove «la Chiesa è una istituzione considerata ancora affidabile nonostante le imperfezioni» e i ragazzi partecipano attivamente alle sue iniziative (lo dimostra la partecipazione di 30mila persone alla Giornata nazionale della gioventù in preparazione nella parte occidentale del Madagascar), ma dove anche si sperimenta «una realtà di povertà estrema», in cui «la disoccupazione che li aspetta dopo gli studi è una certezza».

Proprio questo è uno dei motivi di maggiore «scoraggiamento» tra le nuove generazioni malgasce, che offre terreno fertile alla corruzione «che è una cancrena del nostro Paese», come ha affermato il cardinale. «È deludente per i giovani sapere che non è con il frutto dei loro studi e sacrifici che si trova lavoro, ma tramite la corruzione. Si compra il diploma, si compra il posto di lavoro, e quindi si domandano: a cosa serve fare sforzi?». 

A tutto ciò si accompagna la «constatazione dell’ingiustizia che favorisce l’insicurezza tanto in città quanto nelle zone rurali» e che quindi cede il passo alla spirale di violenza in cui vengono risucchiati tanti adolescenti, alla «giustizia popolare» visto che «non si fidano dell’apparato giuridico», o alle sette che propongono migliori prospettive per il futuro. «La vita è dura lì», ha concluso Tsarahazana, quindi la visita di Francesco sarebbe «un grosso incoraggiamento alla gioventù» del Madagascar e dell’Africa, come d’altronde fu per il viaggio – il primo e unico finora nel Continente nero – di Bergoglio in Kenya, Uganda e Repubblica centrafricana visitati nel novembre 2015.

Tra le discussioni del Sinodo, hanno informato infine i relatori, non sono mancati cenni al fenomeno dei giovani migranti, analizzato sia nell’ottica dei Paesi di origine che dei Paesi di arrivo, al tema della liturgia («dateci una liturgia più bella e partecipata», hanno chiesto alcuni ragazzi) e alla questione della donna e del suo ruolo nella Chiesa. «È un dibattito promosso dagli uomini, dai vescovi», ha detto entusiasta suor Becquart, «in questo mondo misto i giovani hanno bisogno di vedere questo doppio volto della Chiesa: maschile e femminile». E le donne presenti nell’aula vaticana, ha aggiunto Lacroix, molte delle quali con ruoli di responsabilità e influenza nelle Conferenze episcopali e nelle diocesi, «sono molto coinvolte» in questo Sinodo: lo stanno «vivendo da protagoniste e non da spettatrici, una cosa quasi impossibile dieci anni fa». 

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