Sono 68,5 milioni le persone in tutto il mondo costrette ad abbandonare la propria casa, tra cui 40 milioni di sfollati interni, 25,4 milioni di rifugiati e 3,1 milioni di richiedenti asilo. Questi i dati del Cesvi, che sta per l’ong Cooperazione e sviluppo, evidenziati dall’Indice globale della fame presentato giovedì 11 ottobre all’Ispi di Milano.

La malnutrizione, che colpisce 51 Paesi, è infatti spesso causata da migrazioni per ragioni economiche e politiche e discernere questi due fattori risulta complicato.

C’è anche un altro problema che influisce sullo spostamento delle persone dall’Africa subsahariana e dall’Asia meridionale: i cambiamenti climatici che portano carestie.

Secondo lo studio circa 124 milioni di persone nel mondo soffrono di fame acuta, mentre 151 milioni di bambini sono affetti da arresto della crescita e 51 milioni da deperimento.

In Asia è l’India lo Stato con il più alto tasso di deperimento infantile (21%). In Africa subsahariana si registra un tasso di denutrizione del 22% sul quale incidono condizioni climatiche avverse, instabilità politica e conflitti prolungati.

Tra i Paesi dove la denutrizione è più presente ci sono Zimbabwe (46,6%) e Somalia (50,6%). Nell’Africa subsahariana si trovano anche i Paesi con il più alto tasso di mortalità infantile sotto i 5 anni, a cominciare da Somalia (13,3%), Ciad (12,7%) e Repubblica Centrafricana (12,4%).

Tra le notizie positive, Angola, Etiopia e Ruanda, che nel 2000 avevano fatto registrare livelli di fame allarmanti, vedono una riduzione dei loro punteggi di almeno il 50%. Inoltre, 27 Paesi in Asia meridionale e Africa subsahariana sono riusciti a raggiungere un livello di fame moderato: tra questi, Gabon, Ghana, Mauritius, Senegal, Sudafrica e Sri Lanka. Anche Bangladesh ed Etiopia, nonostante livelli ancora gravi, hanno visto nel tempo un declino di povertà e malnutrizione.

«Il mondo ha compiuto progressi sostanziali nella lotta alla fame, ma a una velocità ancora non sufficiente per raggiungere l’obiettivo fame zero entro il 2030 - commenta Daniela Bernacchi, direttore generale del Cesvi -. Per questo occorre aumentare gli investimenti e promuovere programmi di sviluppo a lungo termine nelle regioni più critiche».

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