Il caso Khashoggi rischia di mettere in crisi il matrimonio tra Washington e Riad, che vede quest’ultima asserire la propria innocenza e la casa Bianca minacciare «punizioni severe» se sarà accertato che un commando giunto dal regno ha ucciso il giornalista dissidente il 2 ottobre scorso. È stato Donald Trump, nel corso di un intervista 60 minutes (sulla Cbs), ad affermare per la prima volta che «potrebbe esserci l’Arabia Saudita» dietro la sparizione di Khashoggi e a promettere che scoprirà la verità. «Al momento loro negano e negano in maniera veemente. Potrebbero essere stati loro? Sì», ha dichiarato il presidente americano, forte di una vittoria diplomatica che ha restituito agli americani il pastore evangelico Andrew Brunson, detenuto in Turchia dal 2016.

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Non è chiaro se si tratti di un gioco delle parti tra Ankara, Washuington e Riad, ma bgva registato che, formalmente, Trump non è rimasto convinto delle risposte di Ruad, che ha definito «infondate» le notizie secondo cui il giornalista sarebbe stato torturato, ammazzato e fatto a pezzi nel consolato. «Menzogne», le ha definite il ministro dell’Interno, principe Abdel Aziz bin Saud bin Nayef, in una nota diffusa dall’agenzia ufficiale saudita Spa. L’Arabia Saudita, ha aggiunto, «è fedele delle sue tradizioni di rispetto delle regole e delle convenzioni internazionali».

Riad, al tempo stesso, continua a subire schiaffi, sebbene qualcuno sembri più disposto a dare buffetti. È il caso del direttore generale del Fondo monetario internazionale (Fmi), Christine Lagarde, che si è detta «inorridita» dal caso Khashogggi, ma che ha comunque confermato, almeno per il momento, la sua partecipazione al forum economico che si terrà questo mese nella capitale saudita. La numero uno dell’Fmi è l’ultima di una lunga lista di leader che hanno, in modo più deciso, messo in discussione la propria partecipazione al prestigioso evento organizzato dall’Arabia Saudita, soprannominato la «Davos del deserto», che rischia di rimanere senza alcuni dei suoi ospiti più importanti a causa dell’ondata di indignazione a livello internazionale seguita alla sparizione del giornalista saudita.

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La Future Investment Initiative (Fii) è un evento fortemente voluto dal principe ereditario Mohammed bin Salman (MbS) e ospita alcuni dei più noti esponenti del mondo della finanza e della tecnologia, alcuni dei quali rappresentano realtà che hanno ricevuto cospicui investimenti dal Public Investment Fund (Pif), il fondo sovrano saudita co-organizzatore dell’evento. Tra questi, l’azienda di ride-sharing Uber, il cui amministratore delegato Dara Khosrowshahi ha annunciato di aver rinunciato a prendere parte all’evento che prenderà il via tra due settimane «a meno che un insieme di fatti sostanzialmente diverso dovesse emergere» nonostante il Pif abbia investito 3,5 miliardi di dollari nella sua società due anni fa. Anche i quotidiani New York Times e Financial Times e l’emittente Cnn si sono ritirati da sponsor dell’evento mentre Bloomberg, che nelle scorse settimane ha concluso un accordo con un gruppo vicino alla famiglia reale saudita per una joint venture in lingua araba, sta valutando se mantenere il suo sostegno. Tra i media sono partner dell’evento anche altri nomi altisonanti: Cnbc, Fox Business, Nikkei e Al Arabiya.

Lo scorso anno la «Davos del deserto» era stata l’occasione per il principe MbS di presentare al mondo i piani per Neom, il progetto da 500 miliardi di dollari di una città tecnologica realizzata sul Mar Rosso, come parte dei tentativi di ridurre la dipendenza dell’economia saudita dal petrolio e portare Riad verso un futuro ad alta tecnologia.

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