Una «famiglia di Dio» che comprenda tutti, vescovi, sacerdoti, uomini e donne religiosi, laici (padre Bruno Cadoré, maestro generale dei domenicani), capace di «incentivare le forme di partecipazione» (padre Marco Tasca, ministro generale dell’ordine francescano dei frati minori conventuali), con strutture che «riflettano di più il suo centro, che è il popolo di Dio» (padre Artuso Sosa, superiore generale dei gesuiti). È l’immagine di Chiesa emersa nel corso del quotidiano briefing del Sinodo sui giovani in corso in Vaticano al quale, oggi, hanno partecipato «the big three» degli ordini religiosi (copyright del direttore della Sala Stampa della Santa Sede Greg Burke) e che è stata occasione per prospettare in futuro un maggior coinvolgimento delle religiose donne.

Il prefetto del Dicastero vaticano per la comunicazione, Paolo Ruffini ha annunciato che il documento finale verrà votato paragrafo per paragrafo con maggioranza dei due terzi, mentre una giovane uditrice cilena ha parlato della necessità che la Chiesa sia più inclusiva con le persone omosessuali, ed ha elogiato Papa Francesco sugli abusi sessuali nella Chiesa del suo Paese.

«Non si tratta di fare assemblee o meno, la Chiesa deve essere una comunità di appartenenza», ha detto padre Cadoré in risposta ad una domanda sulla possibilità di una grande assemblea ecclesiale che superi i limiti del Sinodo dei vescovi, «i giovani non hanno bisogno di strutture o organizzazioni ma di un luogo a cui appartengono, una Chiesa famiglia di Dio, come dicono in Africa, che come ogni famiglia ha riunioni a volte più facili a volte meno facili: non assemblee strutturali, ma celebrazioni della comunità, presiedute dal vescovo ma con la partecipazione di tutti, dei preti, che saranno ovviamente più del vescovo, e dei laici, che saranno più numerosi dei preti».

Gli ha fatto eco padre Tasca: «Imporre un’assemblea generale della Chiesa dall’alto mi farebbe un po’ paura», ha detto, «ma incentivare forme di partecipazione che già ci sono sarebbe un bel mondo di essere Chiesa e essere famiglia». Padre Sosa ha espresso una «opinione personale» sul Concilio Vaticano II, che, ha detto, «ha proposto un modello ecclesiologico che non è ancora divenuto realtà. Nel corso degli ultimi 50 anni abbiamo fatto passi avanti, in alcuni momenti di più in altri momenti con più lentezza, ma credo che il modello proposto dal Concilio Vaticano II, con il popolo di Dio al centro, perché la Chiesa è il popolo di Dio, non si sia ancora concretizzato del tutto. Il popolo di Dio ovviamente ha bisogno dei ministri che lo servano e lo guidino, ma questo modello è ancora alla ricerca di incarnarsi nella storia. Io ho incominciato la vita religiosa quando si è concluso il Concilio, per cui mi sembra di poter parlare di tutta una vita, ma mi rendo conto che da un altro punto di vista, dal punto di vista dell’istituzione Chiesa, 50 anni non sono tanti: possiamo dire che stiamo camminando in modo che le strutture della Chiesa riflettano di più il suo centro, il popolo di Dio, ognuno con il suo ministero».

Ad alcune domande specifiche sulla possibilità che – sulla scia dei religiosi uomini, che dallo scorso Sinodo hanno eletto membri dell’assemblea frati non sacerdoti, che dunque pur senza ordinazione hanno diritto di voto – anche le religiose elette al Sinodo possano votare, il maestro generale dell’ordine dei frati predicatori ha risposto sottolineando che l’assemblea in corso è un «Sinodo dei vescovi», ma ha notato che il Sinodo «ha integrato l’idea che tra il gran numero di vescovi ci siano anche rappresentanti della vita consacrata» e ha ricordato che «l’80% della vita consacrata è femminile» e che il Sinodo di per sé non è «un organo di governo» né è legato «all’ordinazione presbiterale», per cui «credo che in futuro – ha detto il superiore dei domenicani – ci sarà un Sinodo dei vescovi che dirà vogliamo che coloro che collaborano con noi nella pastorale siano presenti» nella giusta proporzione.

A chi faceva presente che alcune associazioni cattoliche femminili stanno raccogliendo in questi giorni firme online per una petizione che chiede ai vescovi, ai cardinali e al Papa la possibilità che le religiose superiori votino al Sinodo - iniziativa che fa emergere un certo «malessere» - il superiore della Compagnia di Gesù ha riecheggiato padre Cadoré rispondendo che, in primo luogo, «questo è un Sinodo dei vescovi, e questo va capito nella struttura della Chiesa: ai Sinodi delle Chiesa locali partecipa tutto il popolo di Dio in condizioni paritarie». Altro è il Sinodo dei vescovi, sul quale, però, ed è il secondo punto, «possiamo andare avanti: penso – ha proseguito padre Sosa – che una delle caratteristiche della riforma che vuol fare Papa Francesco nella Chiesa sia approfondire la sinodalità, e in questa direzione si potranno produrre cambiamenti che possano cambiare questa maniera di intendere il Sinodo. Mi auguro che questo malessere aiuti a muoversi. È un segno che qualcosa non va bene, e allora bisogna sentirlo e andare avanti nel modo che possa essere possibile nel tempo». Il superiore dei conventuali, da parte sua, ha ricordato che lobiettivo dei francescani è «che ogni frate possa partecipare e possa essere superiore locale, provinciale e generale: questo è il nostro sogno, e ci diamo da fare per arrivare a questa conclusione. Per oggi c’è il bisogno di chiedere il permesso della Santa Sede per il superiore locale».

In apertura del briefing Paolo Ruffini ha reso noto che «il documento finale verrà votato paragrafo per paragrafo con maggioranza dei due terzi». La giovane uditrice Silvia Teresa Retamales Morales, membro dell’Osservatorio Socio-Pastorale dei giovani in Cile, è intervenuta su alcune questioni di attualità in risposta alle domande dei giornalisti. Sulle discriminazioni subite dalle persone omosessuali ha detto che «in un Paese come il mio le persone omosessuali devono subire parecchie discriminazioni», e che la discriminazione avviene «quando non si tratta la persona omosessuale nella sua dignità, e, nella Chiesa, quando la persona omosessuale anziché sentirsi accolta si senta un problema»; invece «la Chiesa, il cui primo mandato è l’amore, deve riconoscere questi fratelli come persone che hanno bisogno di essere accompagnati: essere una Chiesa più inclusiva e come poter aiutare i nostri fratelli con orientamento sessuale diverso, che però vogliono far parte della Chiesa, è una questione che si è dibattuta nel coeso del Sinodo», ha detto. Quanto alla crisi degli abusi sessuali che sta scuotendo la Chiesa in Cile, «è una opportunità per ripensare la struttura» della Chiesa, «sanzionare non basta, bisogna concentrarsi sulla prevenzione» e «l’azione di Papa Francesco è stata molto importante, ha dato fiducia al popolo cileno».

Padre Cadoré ha sottolineato, parlando del Sinodo in termini generali, che «la Chiesa vuole passare dall’ascolto alla conversazione», e, rispetto ai giovani, desidera «accogliere la novità che essi portano non solo per trasmettere, ma anche per cambiare». Padre Tasca ha sottolineato che «non c’è la Chiesa “e” i giovani, ci sono giovani nella Chiesa e insieme dobbiamo cercare prospettive per il futuro», accogliendo «quel che ci dicono i giovani con loro sensibilità, il loro stile, le loro modalità». Padre Sosa ha sottolineato che «il lavoro principale del Sinodo è contribuire al discernimento dei segni dei tempi per rispondere alla chiamata dello Spirito nel cambio di epoca che vive l’umanità».

Tra i temi sui quali il superiore dei gesuiti si è soffermato, ricordando in particolare l’attività del Jesuit Rifugge Service, è quello delle migrazioni: «Come si affronta il tema dei migranti è un segno importante di qualsiasi società», sia quella che produce flussi di emigrati o di sfollati interni per povertà, guerra, situazione politica, o ad esempio sfruttamento delle miniere come avviene in Africa, sia per i Paesi di approdo degli immigrati, dove si sta verificando un indebolimento della democrazia e un rafforzamento dei «nazionalismi egoisti». Padre Sosa ha poi ricordato anche il problema del transito: «Una cifra che mi ha colpito è il tempo di permanenza in un campo di rifugiati: l’anno scorso erano 17 anni», motivo per il quale la Compagnia di Gesù cerca di fornire educazione nei campi rifugiati ai bambini, ai giovani e agli adulti, cercando anche di «immaginare come la trasformazione digitale influisca l’educazione, quale tipo di uomo, donna e bambino cresce in questo mondo digitale, come formarlo per un mondo che nessuno oggi può immaginare».

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