Adesso resta in Rete come una beffa quella pagina della rivista «Fortune» in cui due anni e mezzo fa Domenico (Mimmo) Lucano brillava, unico italiano, al 40esimo posto nella classifica delle persone più influenti del mondo. Era la primavera del 2016, la commozione globale per il corpo del piccolo Aylan Kurdi abbandonato sulla spiaggia di Bodrum non si era ancora trasformata nel sentimento opposto di paura dell’invasione, Riace continuava a far scuola come modello d’integrazione diffusa destando l’interesse internazionale ma mantenendo un profilo relativamente basso in patria (dove all’epoca erano già cominciati i controlli sulla gestione dei fondi che sarebbero stati poi definitivamente bloccati alla fine del 2016 fino ad escludere il Comune dal saldo di luglio-dicembre 2017).

Riace ha fatto a lungo rima con l’immaginario dell’Italia accogliente, Mare Nostrum, i preti di strada, la legge dal volto umano. Per i giornalisti stranieri l’antico borgo dell’Aspromonte che in vent’anni aveva raddoppiato la sua gente in via d’estinzione aggiungendo i rifugiati ai registri esangui dell’anagrafe era una storia esemplare. La BBC l’aveva raccontata nel 2011 sottolineando il «circolo virtuoso» innescato dagli apprendisti artigiani venuti da mondi lontani a far rivivere la lavorazione dimenticata del legno e del rame, «The Guardian» se n’era occupato per esteso nel 2013 descrivendo l’impegno dei nuovi cittadini nella manutenzione delle strade e la raccolta dei rifiuti, lo scorso anno il «New York Times» aveva cominciato proprio dalle cadenti case di Riace concesse in comodato d’uso gratuito ai migranti il viaggio per illustrare la condizione di tanti remoti villaggi italiani minacciati dalla demografia e dall’abbandono.

Poi tutto è cambiato. I rapporti tra il sindaco Lucano e il Viminale in realtà non erano idilliaci neppure all’epoca di Minniti. Ma quando all’inizio dell’estate è arrivato Salvini la tensione è salita oltre la soglia di guardia, con il duro botta e risposta tra l’irriducibile campione del no pasaran («Zero è zero») e il suo fastidioso alter ego buonista («Sarò pure uno zero ma sogno un’umanità libera dal razzismo»). Allora sono venute fuori le ultime difficoltà incontrate dal sindaco nell’ottenimento dei fondi previsti dallo SPRAR, il sistema nazionale per richiedenti asilo e rifugiati a cui ancora tre mesi fa aderivano oltre 1200 enti locali. Sono emerse le irregolarità dei mezzi utilizzati per raggiungere il fine di un Paese tornato a vivere e produrre lavoro anche per i suoi abitanti (formatori, insegnanti, negozianti). Allora, con la formulazione dell’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, la contraddizione archetipa tra l’etica e la legge ha sbarrato la strada al dialogo, alla collaborazione, a Riace.

Adesso gli organizzatori della Marcia della Pace di Assisi hanno un bel fantasticare la candidatura di quel modello utopico al Nobel dei Nobel appena assegnato alla giovane yazida Nadia Murad. Ne ha parlato Flavio Lotti la settimana scorsa, mentre migliaia e migliaia di persone scaricavano da Vimeo il docufilm «Un paese di Calabria» messo a disposizione gratuitamente dalle registe Shu Aiello e Catherine Catella dopo l’arresto di Mimmo Lucano. Il vento però è girato e parecchio. Quel giorno di luglio del 1998 quando 184 naufraghi curdi tra cui 72 bambini sbarcarono sulla costa della Locride per essere trasferiti a Riace e cambiare il corso della loro vita appare molto più lontano dei vent’anni che sono trascorsi nel frattempo. L’associazione “Città Futura – Giuseppe Puglisi” fondata proprio da Lucano, un insegnante tornato a casa dopo la migrazione a Torino, evoca il passato. Il presente cristallizza in Rete il modello che fu.

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