Rigidi, mondani, clericali, arrampicatori: chi è così - e si parla di vescovi e preti - scandalizza il popolo di Dio. E «scandalizzare il popolo di Dio è una cosa bruttissima», sempre e comunque. Soprattutto quando si tratta di abusi su minori: una cosa «mostruosa» paragonabile ai sacrifici umani dei bambini che facevano i pagani. Su questo fil rouge degli scandali e delle mancanze del clero si è snodato il lungo dialogo di Papa Francesco con i seminaristi lombardi, ricevuti sabato scorso in udienza nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico, la cui trascrizione è stata diffusa solo oggi. Un dialogo intervallato da riferimenti biblici, battute o citazioni dei Papi suoi predecessori e condotto, come spesso accade con i consacrati, tutto a braccio perché, ha spiegato il Pontefice, «voglio essere spontaneo nella risposta».

A Davide, diacono da due settimane a Milano, che lo interrogava sugli «scandali che ci affliggono» e che coinvolgono spesso membri del clero, Francesco risponde infatti senza troppi giri di parole: «Scandalizzare il popolo di Dio, questo è bruttissimo. È bruttissimo. E non parlo dello scandalo dei deboli, ma del popolo di Dio: lo scandalo del prete al popolo di Dio». 

Il riferimento è chiaramente al caso più clamoroso che è quello degli abusi. Il Papa cita le statistiche: «Il 2% degli abusi che si fanno sono stati fatti da preti. “Ah, è poco, Padre”. No. Perché se fosse un solo sacerdote, questo è mostruoso. Non giustifichiamoci perché siamo soltanto il 2%. Il 70% avviene nelle famiglie e nel quartiere; poi, nelle palestre, gli allenatori; nelle scuole... È uno scandalo, ma è uno scandalo mondiale che a me fa pensare ai sacrifici umani dei bambini, come facevano i pagani. Su questo punto, parlate chiaro: se voi vedete una cosa del genere, subito al vescovo. Per aiutare quel fratello abusatore. Subito al vescovo». 

Oltre a quello della pedofilia ci sono tuttavia «altri scandali di cui non è di moda parlare», osserva Bergoglio. Uno molto forte è quello della «mondanità spirituale», che il cardinale De Lubac nella sua Meditazione sulla Chiesa definiva «il peggiore peccato della Chiesa».

«Ah, il prete «mondano»! Magari «educato, socialmente ben accettato, ma mondano», ma che «mai lo si vede pregare davanti al tabernacolo; mai tu vedi che va in un ospedale e si ferma e prende le mani agli ammalati, mai. Mai opere di misericordia, quelle difficili da fare». Ecco «quello è uno scandalo», afferma il Papa, e difficilmente i fedeli lo accettano. 

«Nella mia terra il popolo di Dio non si scandalizza molto, ma agisce», racconta. «Per esempio, è capace di perdonare un povero prete che ha una doppia vita con una donna e non sa come risolverla: “Ah, povero uomo, aiutiamolo...”, ma non condanna subito. È capace di perdonare un altro prete che è un po’ solo e prende il bicchiere troppo spesso: “Eh, poveretto, un po’ di vino gli fa bene, è solo...”. Il popolo ha una saggezza grande. Ma non ti perdona il prete che maltratta la gente: questo non te lo perdona! Perché si scandalizza. E non ti perdona il prete attaccato ai soldi: non te lo perdona». 

Un’altra «cosa brutta», sottolinea il Pontefice, è anche «scandalizzare il presbiterio». Ad esempio, «se tu vai a una riunione di presbiterio e parla il vescovo, o parla un altro, e poi esci con uno o due amici a chiacchierare contro il vescovo o contro quell’altro che ha detto quella cosa, contro quell’altro... questo è uno scandalo che ferisce il corpo. Lo scandalo ferisce. Noi - insiste il Papa - dobbiamo essere chiari: su questo punto non cedere. Gli scandali, no. Soprattutto quando gli scandali feriscono i più piccoli. Il popolo è più semplice... Condannare lo scandalo, sempre. Non cedere». E «quando voi doveste vedere che un prete scandalizza, per favore andate o direttamente da lui o dal suo amico o dal parroco o dal vescovo, perché lo aiuti». 

Per il Vescovo di Roma si tratta di imparare una vera e propria arte: «L’arte di stare al proprio posto. Per essere nel posto di sacerdote non bisogna essere rigido, no, umano, normale. Ma al tuo posto. Non scandalizzare mai». 

Un modo per farlo è mettersi in cammino. Una seria formazione dei sacerdoti, dice il Papa rispondendo ad un’altra domanda, è «metterli in cammino, che non stiano fermi». Perché «un prete che non è in cammino pensa a stupidaggini, dice stupidaggini e fa stupidaggini. “Ma è rischioso...”. Sì. Farà delle scivolate, ma vi dico una cosa: io tante volte ho pregato il Signore per un prete – come esempio per tanti, ma pensiamo a uno – perché gli buttasse una buccia di banana e lui facesse una bella scivolata che lo umiliasse e così potesse andare avanti. Metterli in cammino, senza tante sicurezze. È vero che è un rischio, quello di formare la gente è un rischio, ma prendete il rischio». 

«Nella vita chi non rischia non va avanti», questo è vero. Ciò non toglie che nel rischiare serva comunque la «prudenza», chiarisce Papa Bergoglio. In proposito, rivela di aver dovuto sospendere un’ordinazione sacerdotale in un altro continente: «L’altro ieri ho dovuto [farlo] – sentite questo – ho dovuto, da Roma! Ma cos’ha quel Vescovo nella testa? E quei formatori che presentano al Vescovo una persona così: le notizie che erano arrivate erano terribili!», spiega. «Ci sono questi casi, ma la maggioranza non è così. Voi - dice a preti e seminaristi - avete un’esperienza di fraternità, voi siete fratelli maggiori, e con il dialogo... Si rischia. Nella vita chi non rischia non va avanti. Ma rischiare con prudenza, rischiare con prudenza. E da dove prendo la prudenza? Dalla mia esperienza di accompagnamento di questo giovane, e dalla preghiera. Non c’è un “come” preciso. Nelle riunioni per esaminare l’idoneità ci sono dei pro e dei contro, ma voi dovrete prendere una decisione prudenziale e farla sapere al vescovo, e sarà il vescovo a decidere». 

Nelle risposte del Papa non manca un riferimento a quella che, per lui, è una grave problematica del clero: «l’irrigidirsi», quindi «la difesa, il clericalismo». «Se tu vedi un giovane seminarista che si irrigidisce, che cade nella rigidità, fallo aspettare. Se è rigido non è adatto per l’ordinazione», raccomanda. «Oggi la rigidità è un impedimento all’ordinazione. Se vedi un altro che prende tutte le cose sul serio e non ha il senso dell’umorismo, mandalo a lavorare al circo per un po’! Poi quando torna, dopo due anni, vedremo come vanno le cose. Il senso dell’umorismo, non rigidità: la rigidità è un impedimento. Dietro ogni rigidità ci sono brutti problemi». «Il rigido custodisce sé stesso, perché ha paura o ha una qualche malattia dentro, uno squilibrio, per coprire qualcosa..., ma è sempre incapace di entrare in processo».

Con uguale determinazione Papa Francesco stigmatizza un altro atteggiamento ben presente in mezzo ai preti: «l’arrampicarsi». «Se tu non correggi un seminarista che dà segnali di essere arrampicatore, faremo male alla Chiesa», avverte. «Ho sentito una volta un vescovo con esperienza che diceva: “L’arrampicatore vuole il massimo, ma se tu gli offri la diocesi più piccola, la prenderà, perché fa un passo in avanti: adesso è vescovo. Ma invece di guidare la diocesi, guarderà l’altra, quella del vicino e – diceva quel vescovo – questo è adulterio episcopale: guardare la sposa dell’altro. Fino ad arrivare dove lui vuole”». Francesco rammenta a tal proposito il dialogo di Wojtyla con l’allora prefetto della Congregazione dei Vescovi che gli domandava: «Mi dia qualche criterio per la scelta dei vescovi». «E, con quella voce che aveva Giovanni Paolo II», dice abbassando il tono della voce per imitarlo, «risponde: “Primo criterio: volentes nolumus”. Con questo voleva dire: non c’è posto per gli arrampicatori. Servizio». 

Il contrario dell’arrampicatore è il santo, i sacerdoti, cioè, che sono sempre «in processo» verso la santità. In che modo? Anzitutto restando vicini al popolo di Dio, essendo «pastori della gente» e non «chierici di Stato». Così si combatte il clericalismo che, ribadisce ancora una volta il Papa, «è una perversione della Chiesa». E da questo si capisce da che parte sta un sacerdote, se da quella dei farisei o da quella di Gesù. «Quando si vede un giovane prete tutto centrato su sé stesso, che pensa a fare carriera, questo è più dalla parte dei farisei e sadducei che dalla parte di Gesù. Questa è la verità», afferma Bergoglio. Invece, «quando vedi un prete che prega, che sta con i bambini, insegna la catechesi, che celebra la messa con la sua comunità, che sa i nomi della gente perché si avvicina, alla fine della messa va e saluta uno e l’altro: “Come stai? E la famiglia?…”. Questa è la vicinanza che aveva Gesù. Una volta ho sentito uno – di qua, uno che lavora in Vaticano… perché ce ne sono santi, qui dentro, ci sono santi! –, che mi diceva che era stato parroco un tempo e conosceva il nome di tutti, anche il nome dei cani! Questa è la vicinanza di un prete, un prete santo, ma con la santità ordinaria alla quale siamo chiamati tutti».

Nel colloquio il Papa affronta anche il tema del discernimento, cioè «vedere cosa il Signore vuole da me» a partire da «cosa sento, cosa mi lascia in pace, cosa mi lascia inquieto, cosa mi toglie la pace…». Discernere, spiega il Papa, è fare un continuo esame di coscienza «non solo per fare la contabilità dei peccati che ho commesso o le virtù di oggi, ma per vedere cosa è successo nel mio cuore». «Una delle cose più difficili nella vita cristiana e nella quale ci vuole discernimento, tanto, è come convivere con il peccato», aggiunge il Papa. «Tutti siamo peccatori, tutti; e non solo in teoria, in pratica. E quando io cado, come convivo con questa caduta? Come risolvo questo fallimento? Cercare nella preghiera, nel consiglio come andare avanti con il peccato e risolverlo». «Sono in una oscurità per un errore, un peccato che ho fatto, vado dal Padre, subito; o vado da quel compagno che mi aiuterà. Ma cercare sempre chi mi aiuti a convivere con le mie cose brutte, con i miei sbagli».

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