I vescovi cattolici degli Stati Uniti devono rinunciare ad alcuni dei propri poteri nelle diocesi per consentire la creazione di un nuovo organismo nazionale che possa indagare sulle accuse di cattiva condotta di membri dell’episcopato. È quanto afferma il cardinale Blase Joseph Cupich di Chicago, in un’intervista esclusiva del 13 ottobre con il National Catholic Reporter, in cui spiega che sarà questa la sua proposta all’incontro dei presuli statunitensi che si terrà a Baltimora dal 12 al 14 novembre per rispondere alla dilagante crisi sollevata dalle rivelazioni sugli abusi compiuti dall’ex cardinale Theodore McCarrick. 

Secondo l’arcivescovo di Chicago, quando si riuniranno a novembre per discutere della piaga della pedofilia del clero i presuli «dovranno essere molto chiari in merito alla procedura di responsabilità per le accuse sui vescovi». «Cediamo i nostri diritti come vescovi per far subentrare qualcun altro e indagare su di noi»: a giudizio del cardinale è questo ciò che si dovrebbero stabilire. «Ognuno dovrebbe essere disposto a dire: “Lascerò che un gruppo indipendente indaghi la mia persona qualora ci fosse un’accusa contro di me”». 

  

Il cardinale, che sta partecipando al Sinodo dei Vescovi sui giovani del 3-28 ottobre, parla anche della propria esperienza con i sopravvissuti agli abusi, del cambio di mentalità che i vescovi devono adottare in merito alla propria responsabilità, e di come spesso i sacerdoti di orientamento omosessuale siano considerati «un capro espiatorio». 

Per la prima volta Cupich commenta anche le dimissioni di Donald Wuerl, il cardinale di Washington che venerdì 12 ottobre - sulla scia dei risultati del rapporto del Grand Jury della Pennsylvania e le polemiche per la gestione di alcuni casi di preti predatori all’inizio degli anni Novanta - ha concluso la sua lunga carriera lunga. «Non mi ha sorpreso la sua decisione di farsi da parte perché ha sempre messo il bene della Chiesa prima di tutto il resto... fino al punto di dire: “Ho commesso degli errori”», dice Cupich, «Questo è l’uomo che conosco: un uomo onesto che ha sempre cercato di fare del suo meglio per amore della Chiesa, al punto da ammettere di aver commesso quegli errori». 

Nell’intervista a margine dei lavori sinodali, il porporato sottolinea come le dimissioni di Wuerl daranno «l’opportunità alle persone di fare un passo indietro e guardare anche a tutti i modi in cui ha contribuito alla vita della Chiesa». «Se davvero vogliamo dire la verità, dobbiamo fare in modo di dirla tutta fino in fondo e approfittare di questo momento per apprezzare il suo contributo» che è «enorme».

 

Sulla questione dei sacerdoti omosessuali, invece, Cupich spiega che: «Dobbiamo fare in modo che tutti all’interno della Chiesa vivano una vita autentica e casta. Questo è fuori discussione»; tuttavia «è stato dimostrato che la crisi degli abusi, le violenze sui minori, in realtà siano imputabili ad altri fattori, non solo al fatto che qualcuno fosse gay». «Questo è chiaro. Le ricerche lo hanno dimostrato. Non si tratta di una mia opinione personale», afferma il cardinale, «Penso che stiamo andando fuori strada se non ci occupiamo di ciò che ruota attorno alla cultura del clericalismo, e ai privilegi, i poteri e la protezione che offre. Questi tre elementi devono essere eliminati dalla vita della Chiesa. Tutto il resto è secondario se prima non affrontiamo questo». 

Per Cupich, inoltre, è necessario che ogni singolo prelato cattolico ceda una parte della propria autorità per consentire la creazione di un nuovo organo investigativo nazionale; la Conferenza episcopale nazionale non ha tuttavia il potere di istituire tale organo da sola: «Non può farlo, l’iniziativa deve provenire da Roma o dal singolo vescovo». L’organismo in questione dovrebbe essere «una sorta di commissione laica di supervisione che ha il compito di ricevere le denunce di abuso, le accuse sui vescovi, o accuse sulla cattiva gestione da parte dei vescovi di questi casi», ha spiegato Cupich. Un organo del genere a livello nazionale sarebbe necessario per ricostruire la fiducia tra laici e vescovi e «per assicurarsi che non ci sia il minimo dubbio di favoritismo» quando si indaga per un’accusa su un prelato. 

Le rivelazioni di quest’estate su McCarrick, uno dei leader più influenti della Chiesa statunitense dell’ultimo quarto di secolo, hanno portato infatti molti cattolici a domandarsi come mai non sia stato denunciato prima e quindi a chiedere un processo indipendente per valutare le future accuse contro i vescovi. Il comitato amministrativo dei vescovi statunitensi ha intanto annunciato a settembre di aver approvato la creazione di un «sistema di segnalazione da parte di terzi» per le accuse contro i prelati, ma non ha fornito informazioni specifiche che, probabilmente, saranno argomento di discussione all’incontro di novembre. Cupich ha detto di non aver ancora ricevuto alcun materiale preparatorio per la riunione: «Sono sicuro che ci stanno lavorando, ma ad oggi non abbiamo ricevuto nulla».

«Il nostro popolo non è contro di noi: vogliono che la Chiesa abbia successo. Vogliono che i vescovi abbiano successo, ma vogliono anche aiutarci e non dovremmo averne paura», ha affermato il cardinale. «Questa non è scienza missilistica», ha aggiunto. «Possiamo essere trasparenti. Possiamo avere un modo per determinare le responsabilità. Possiamo farcela. Non dovrebbe essere qualcosa di faticoso per noi». 

La spinta del porporato ad affrontare gli abusi sessuali del clero «nel modo più onesto, trasparente e responsabile possibile» è nata dai suoi incontri con i sopravvissuti. In particolare il primo incontro quando era vescovo di Rapid City, South Dakota, dal 1998-2010, con un uomo di 50 anni abusato da un sacerdote decenni prima. «Mentre parlava ho capito che stavo ascoltando un bambino di nove anni», ha detto «Era straziante il modo in cui raccontava la storia perché raccontava i dettagli in modo molto grafico, molto reale». 

Secondo Cupich, «le nostre parole di scuse non significano nulla se non entriamo in contatto concreto, e ci sediamo di fronte alle vittime e permettiamo davvero di essere investiti dal trauma, dal dolore, che hanno sofferto». La sua prima reazione nel sentire la storia di quell’uomo è stata «rabbia, profonda rabbia», ma questa rabbia «si è trasformata in determinazione affinché le vittime vengano sempre prima di tutto, affinché si trovi un modo per far sì che la Chiesa faccia la cosa giusta» assicura l’arcivescovo, attivo nel Comitato episcopale statunitense che si occupa di proteggere i bambini dagli abusi, in passato ne è stato pure presidente.

Dopo aver ascoltato la storia del sopravvissuto, Cupich si è anche recato nella parrocchia dove il sacerdote aveva servito, ha preso una sua foto, e ha inviato lettere a tutte le altre parrocchie dove aveva lavorato, rendendo pubblica la questione. «Volevo divulgare questa storia in tutte le parrocchie, in modo che altre vittime si sentissero libere di farsi avanti», ha raccontato il cardinale, aggiungendo che spera che la recente pressione mediatica permetta anche ad altre vittime di denunciare gli abusi. «Mi chiedono sempre: “Non sei stanco di queste notizie? Continuano a riemergere”No, rispondo, perché questa pubblicità, questa notizia, quell’altra notizia, ha una funzione quasi liberatrice e permette alle vittime di farsi avanti». Certo tutto ciò provoca «dolore» alla Chiesa, ma «è un piccolo prezzo da pagare per la liberazione di persone come quest’uomo che si è fatto avanti».

Oltre alla questione di un organismo nazionale per indagare le accuse contro i prelati, Cupich è convinto che nella riunione di novembre, i vescovi americani debbano anche affrontare le rivelazioni contenute nel rapporto del Grand Jury della Pennsylvania. Pubblicato il 14 agosto, il documento mette sotto esame la gestione della Chiesa in merito ai casi di pedofilia in sei diocesi dello Stato, identificando almeno mille vittime minorenni nel corso di settant’anni. 

«Sappiamo se tutte queste vittime hanno ricevuto cura e attenzione pastorale?» si domanda Cupich in riferimento alle vittime, ricordando che la stessa Carta per la protezione dei bambini e dei giovani, adottata nel 2002 dopo lo scandalo degli abusi a Boston, ordina che i prelati «dovrebbero essere trasparenti con le persone e raggiungere le vittime». 

E i sacerdoti? «Quei sacerdoti sono stati rimossi? Sono stati segnalati a Roma, come avrebbero dovuto essere, anche se si trattava di casi storici?», prosegue il porporato. Sempre la Carta del 2002 non prevede che i vescovi debbano elencare pubblicamente nella loro diocesi i sacerdoti che sono stati credibilmente accusati di abusi, ma il cardinale di Chicago afferma lo stesso: «Avrebbero dovuto essere resi pubblici per permettere ad altre vittime di farsi avanti». «Penso - ha aggiunto - che sia importante che le persone coinvolte in casi del genere comprovati, con accuse credibili, debbano essere nominate pubblicamente in modo che le vittime si facciano avanti. Io l’ho sempre fatto, ma non è così in tutte le diocesi».

Ciò che serve è anzitutto un cambio di mentalità da parte dei vescovi in merito alla propria responsabilità, per questo Cupich ritiene importante che i prelati si rivolgano costantemente al popolo della loro diocesi e imparino dai sacerdoti ciò che vivono i loro parrocchiani. «Bisogna essere responsabili dei propri sacerdoti, perché sono loro in prima linea con il popolo. Ti dicono quello che dice la gente, forse prima che lo faccia la gente». 

Quando incontra gruppi di sacerdoti diocesani, il cardinale cerca sempre infatti di mettere a disposizione almeno mezz’ora per una sessione di domande e risposte.  «Dico loro che possiamo parlare di tutto, e che nulla può offendermi. Comunicare è parte fondamentale del senso di responsabilità». E anche se qualcuno si lamenta della Chiesa, lo fa per il desiderio di migliorarla. «Dietro tutta quella rabbia c’è anche la tristezza nel cuore di tutte quelle persone che sanno che possiamo fare di meglio», sostiene Cupich. «Dobbiamo essere maturi abbastanza per non reagire alla rabbia, ma per entrare in contatto con il dolore. Non possiamo stare sulla difensiva, questo non funziona... Non si arriva da nessuna parte. La leadership esige che facciamo un passo avanti, ed essere disposti ad assorbire la rabbia della gente, ma anche a guardare dietro, a quello che sta accadendo». 

Infine commentando il Sinodo sulle esigenze dei giovani di oggi - il secondo a cui il cardinale partecipa, dopo quello del 2015 sulla famiglia - Cupich afferma: «È qualcosa di arricchente e, allo stesso tempo, inquietante. Per noi del mondo occidentale, soprattutto degli Stati Uniti, è scioccante venire a contatto con i traumi, le difficoltà, le lotte, le sfide dei giovani di tutto il mondo». In particolare il cardinale è rimasto profondamente colpito dal discorso di un giovane iracheno che ha parlato della sua vita vissuta nella violenza costante. «Mi ritrovo a cedere nella trappola del concentrarmi sulla mia zona, sulle questioni e le preoccupazioni che abbiamo negli Stati Uniti».

Alla domanda su come il Sinodo stia bilanciando le preoccupazioni dei giovani provenienti sia dalle aree sviluppate sia da quelle in via di sviluppo, Cupich ha risposto che un punto di convergenza tra i giovani di tutto il mondo è la loro ricerca di autenticità: «Non stanno cercando una Chiesa perfetta, sono alla ricerca di una Chiesa autentica. Possono tollerare gli errori, ma non possono tollerare l’inautenticità o la mancanza di onestà sui difficili problemi di oggi». 

I commenti dei lettori