«Per offendere l’innocenza di un bambino basta una frase inopportuna. Per ferire una donna può bastare un gesto di freddezza. Per spezzare il cuore di un giovane è sufficiente negargli la fiducia. Per annientare un uomo basta ignorarlo. L’indifferenza uccide». All’udienza generale Papa Francesco ha ricordato che Gesù rivela «un senso ancora più profondo» del quinto comandamento, «non uccidere», e mette l’insulto, il disprezzo e l’odio «sulla linea dell’uccisione»: non uccidere, allora, «vuol dire curare, valorizzare, includere, e anche perdonare», è una «chiamata all’amore». «Un minerale, una pianta, questi sampietrini non fanno niente di male», ha detto Jorge Mario Bergoglio ai fedeli presenti in piazza San Pietro, «a un uomo è richiesto di più».

 

Proseguendo un ciclo sui dieci Comandamenti, il Papa, che già la settimana scorsa aveva dedicato la catechesi al quinto comandamento paragonando l’aborto terapeutico all’ingaggio di un sicario, si è soffermato oggi sullo stesso comandamento nella interpretazione che, però, gli dà Gesù, secondo il Vangelo di Matteo (Mt 5, 21-24).

 

«Gesù ci rivela di questo comandamento un senso ancora più profondo», ha ricordato il Papa: «Egli afferma che, davanti al tribunale di Dio, anche l’ira contro un fratello è una forma di omicidio. Per questo l’Apostolo Giovanni scriverà: “Chiunque odia il proprio fratello è omicida”. Ma Gesù non si ferma a questo, e nella stessa logica aggiunge che anche l’insulto e il disprezzo possono uccidere. E noi – ha aggiunto Francesco – siamo abituati a insultare: è vero, ci viene un insulto, come se fosse un respiro, e Gesù ci dice: fermati, perché l’insulto fa male, uccide. Il disprezzo, dire “Ma io… questa gente, questo lo disprezzo”, è una forma di uccidere la dignità della persona. Bello sarebbe che questo insegnamento di Gesù entrasse nella mente, nel cuore di ognuno di noi, e dire: non insulterò mai nessuno, sarebbe un bel proposito. Gesù ci dice: guarda, se tu disprezzi, se tu insulti, se tu odi, questo è omicidio. Nessun codice umano equipara atti così differenti assegnando loro lo stesso grado di giudizio».

Coerentemente, ha detto ancora il Papa, «Gesù invita a interrompere l’offerta del sacrificio nel tempio se ci si ricorda che un fratello è offeso nei nostri confronti, per andare a cercarlo e riconciliarsi con lui» e «anche noi quando andiamo alla messa dovremmo avere questo atteggiamento di riconciliazione con le persone con le quali abbiamo avuto dei problemi, anche abbiamo pensato male di loro, li abbiamo insultati». E invece, «tante volte, mentre aspettiamo che venga il sacerdote a dire la messa si chiacchiera un po’ e si parla male di altri, ma questo non si può fare! Pensiamo: l’importanza dell’insulto, l’importanza del disprezzo, l’importanza dell’odio. Gesù li mette sulla linea dell’uccisione».

 

L’uomo, ha proseguito il Papa per spiegare il significato dell’insegnamento evangelico, «ha una vita nobile, molto sensibile, e possiede un “io” recondito non meno importante del suo essere fisico. Infatti, per offendere l’innocenza di un bambino basta una frase inopportuna. Per ferire una donna può bastare un gesto di freddezza. Per spezzare il cuore di un giovane è sufficiente negargli la fiducia. Per annientare un uomo basta ignorarlo. L’indifferenza uccide. È come dire all’altra persona: tu sei un morto per me, perché lo hai ucciso nel tuo cuore. Non amare è il primo passo per uccidere; e non uccidere è il primo passo per amare».

 

Il «primo omicida», Caino, dopo che il Signore gli chiede dove sia suo fratello, risponde: «Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?». Così, ha chiosato il Papa, «parlano gli assassini: “non mi riguarda”, “sono fatti tuoi”, e cose simili. Proviamo a rispondere a questa domanda: siamo noi i custodi dei nostri fratelli? Sì, lo siamo! Siamo custodi gli uni degli altri! E questa è la strada della vita, la strada della non uccisione. La vita umana ha bisogno di amore. E qual è l’amore autentico? È quello che Cristo ci ha mostrato, cioè la misericordia. L’amore di cui non possiamo fare a meno è quello che perdona, che accoglie chi ci ha fatto del male. Nessuno di noi può sopravvive senza misericordia, tutti abbiamo bisogno del perdono, tutti. Quindi, se uccidere significa distruggere, sopprimere, eliminare qualcuno, allora non uccidere vorrà dire curare, valorizzare, includere. E anche perdonare. Nessuno si può illudere pensando: “Sono a posto perché non faccio niente di male”. Un minerale, una pianta questi sampietrini che sono lì – ha detto il Papa rivolto ai fedeli presenti all’interno del colonnato berniniano – non fanno niente di male, hanno questo tipo di esistenza, invece un uomo no. A un uomo è richiesto di più. C’è del bene da fare, preparato per ognuno di noi, ciascuno il suo, che ci rende noi stessi fino in fondo».

 

Il comandamento «non uccidere», allora, «è un appello all’amore e alla misericordia, è una chiamata a vivere secondo il Signore Gesù, che ha dato la vita per noi e per noi è risorto» ha ricordato il Papa, che ha citato il detto di un santo: «Non fare del male è cosa buona, ma non fare del bene non è buono. Sempre dobbiamo fare del bene, andare oltre».

 

A conclusione della catechesi, il Papa ha salutato i pellegrini polacchi giunti a Roma per festeggiare l’elezione di Giovanni Paolo II avvenuta 40 anni fa, il 16 ottobre 1978: «Un applauso a san Giovanni Paolo II!», ha detto, «sono sempre attuali le parole che pronunciò il giorno dell’inaugurazione del suo pontificato: “Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!”. Che esse continuino ad ispirare la vostra vita personale, familiare e sociale; siano di incoraggiamento a seguire fedelmente il Cristo, a scorgere la sua presenza nel mondo e nell’altro uomo, specialmente in quello povero e bisognoso d’aiuto. L’uomo, infatti, come insegnava il Papa proveniente dalla stirpe dei polacchi, è la via della Chiesa».

Francesco ha poi rivolto un saluto, tra gli altri, al personale militare e civile del Comando logistico dell’Aeronautica Militare, alla Delegazione del “Popolo della famiglia”, al Centro italiano aiuti all’Infanzia, all’Associazione Bambino emopatico e alla Comunità Villa San Francesco, ed ha concluso ricordando che oggi ricorre la memoria liturgica di Sant’Ignazio di Antiochia, vescovo e martire a Roma: «Impariamo da questo santo vescovo dell’antica Siria a testimoniare con coraggio la nostra fede. Per sua intercessione, il Signore dia a ciascuno di noi la forza della perseveranza, nonostante le avversità e le persecuzioni».

Durante i saluti sul sagrato della Basilica, il Pontefice ha incontrato il regista statunitense Michael Moore e la figlia di Martin Luther King, Berenice Albertine King, come il padre pastore battista e come il padre in prima linea contro il razzismo e la violenza. Francesco l’ha accolta con un abbraccio.

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