«Se vuoi aiutarmi, agisci in modo da portare avanti il Concilio nella Chiesa. E aiutami con la tua preghiera. Ho bisogno di tanta preghiera». Così Francesco ha risposto a un giovane gesuita che gli chiedeva come fare per sostenere il Papa nella sua missione. La Civiltà Cattolica ha pubblicato la trascrizione, raccolta dal direttore Antonio Spadaro, del dialogo durato un'ora che si è svolto a Vilnius con i gesuiti dei Paesi Baltici, durante la recente visita papale.

 

«Non so che cosa chiedere - ha risposto Francesco - Ma quello che oggi bisogna fare è accompagnare la Chiesa in un profondo rinnovamento spirituale. Io credo che il Signore stia chiedendo un cambiamento nella Chiesa. Ho detto tante volte che una perversione della Chiesa oggi è il clericalismo. Ma 50 anni fa lo aveva detto chiaramente il Concilio Vaticano II: la Chiesa è il popolo di Dio. Leggete il numero 12 della Lumen gentium. Sento che il Signore vuole che il Concilio si faccia strada nella Chiesa. Gli storici dicono che perché un Concilio sia applicato ci vogliono 100 anni. Siamo a metà strada. Dunque, se vuoi aiutarmi, agisci in modo da portare avanti il Concilio nella Chiesa. E aiutami con la tua preghiera».

 

Parlando dell'azione del gesuita e pensando ai tempi della clandestinità nella quale per decenni si sono dovuti rifugiare i religiosi nell'ex impero sovietico, Bergoglio ha detto: «Credo che per un gesuita lavorare nella clandestinità non sia difficile. Padre Hugo Rahner diceva che il gesuita deve essere capace di discernere sia nel campo di Dio sia nel campo del diavolo. Credo che il discernimento ci dia questa capacità, questo fiuto del soprannaturale: il senso del divino e del diabolico relativo agli avvenimenti della vita umana e della storia. Bisogna chiedere di essere introdotti sia alle intenzioni del Signore sia a quelle del nemico della natura umana e ai suoi inganni. Anche nei momenti brutti il gesuita deve sapere come camminare».

 

Rispondendo al vescovo gesuita Sigitas Tamkevičius, che fu imprigionato nel carcere del Kgb visitato poco prima dal Papa, Francesco ha detto: «Voglio dirvi questo: noi diciamo che Gesù è disceso agli inferi, e io vi consiglio di non aver paura di discendere negli inferi delle persone. Alle volte, questo addirittura significa entrare nel campo del diavolo. Ma le sofferenze umane, sociali, quelle delle coscienze… bisogna scendere agli inferi, bisogna scendere lì. Toccare le piaghe. E toccando le piaghe delle persone, tu tocchi le piaghe di Cristo. Il gesuita non deve aver paura di questo. È una grazia che si riceve dalla mano del Signore. E queste ferite non si sono aperte solamente a Vilnius e nel passato. La stessa cosa accade proprio oggi in tante situazioni sociopolitiche del mondo. Sto pensando a un filmato che testimonia la situazione di alcune carceri del nord Africa costruite dai trafficanti di persone. Quando i governi rispediscono indietro chi era riuscito a mettersi in salvo, i trafficanti li mettono in quelle carceri, dove si praticano le torture più orribili. Per questo è importante che lei parli della sua esperienza di prigionia».

 

«La gente - ha aggiunto Francesco - deve sapere che significa. È bene che ne parli. Noi oggi ci strappiamo le vesti per quello che hanno fatto i comunisti, i nazisti e i fascisti… ma oggi? Non accade anche oggi? Certo, lo si fa con guanti bianchi e di seta!... Io sempre porto con me questa Via Crucis tascabile, per ricordare la passione del Signore [e la tira fuori dalla tasca]. È la passione di tanta gente che oggi è carcerata, torturata. Mi fa bene meditare la Via Crucis. Grazie, padre! Grazie per la sua testimonianza!».

 

Il Papa ha quindi parlato della «vicinanza» di Dio. «La vicinanza è l’atteggiamento più antico di Dio. Lui stesso si presenta così: vicino... E poi si è fatto ancora più vicino: si è fatto uno di noi. La synkatabasis: Dio si è fatto condiscendenza, vicino nella carne. Qualsiasi pastorale che dimentica questo è destinata al fallimento. Gesù si è fatto vicino agli emarginati, ai morti – che poi risuscitava –, ai peccatori, ai pubblicani, alle prostitute… I puri, i professionisti della religione si scandalizzavano. Se un prete caccia via in malo modo un penitente, il vescovo deve interrogarsi se sia il caso di togliergli la licenza di confessare, perché il confessore deve esprimere paternità. Il confessore è lì per abbracciare il figlio prodigo, il figlio perduto. E sempre, sempre, se tu sei padre, sempre trovi il modo per perdonare».

 

Infine, Francesco ha parlato dell'educazione. «Si deve uscire da un’eredità negativa dell’illuminismo che consiste nell’immaginare l’educazione come un riempire la testa di idee. Oggi ci sono scuole e università che hanno come unico scopo quello di preparare gli studenti per il “successoˮ. E lo fanno riempiendoli di nozioni. L’educazione coinvolge tutta la persona, non solamente la testa. L’ho detto tante volte, e qui mi ripeto: c’è il linguaggio della testa, ma c’è anche il linguaggio del cuore, del sentimento. Bisogna educare il cuore. Ci vuole un’educazione del sentimento. E c’è pure il linguaggio delle mani. Sono tre linguaggi che vanno tenuti insieme. Il giovane è chiamato a pensare quello che sente e fa, e deve sentire quello che pensa e fa, e fare quello che sente e pensa. La nostra è un’unità umana, e lì entra tutto, entra l’inquietudine per gli altri, il coinvolgimento. Non dimentichiamo il sentire, i sentimenti. Ignazio è stato un grande educatore dei sentimenti. E questa deve essere la strada dell’educazione. Chiaramente il compito dei gesuiti che lavorano nelle scuole è anche quello di formare educatori capaci. Essi devono costruire una comunità educativa che sia in grado di discernere le situazioni e impari a portare l’educazione su questi tre linguaggi di cuore, testa e mani. Ma, per favore, che i gesuiti non lascino l’educazione! La Compagnia non deve abbandonare questa missione, perché è una strada forte».

Qui il testo integrale del dialogo del Papa con i gesuiti dei Paesi baltici su La Civiltà Cattolica

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