I partiti, alla fine, una posizione per il sì non l’hanno presa. Più corteggiato il no (Pd e Forza Italia), ma la maggioranza dei gruppi politici, a partire da Lega e 5 Stelle, ha optato per la «libertà di coscienza». Esattamente il contrario di ciò che ha fatto la gente, che del tema Piemonte o Lombardia si è appassionata. Dibattiti organizzati o spontanei, nei bar, nelle piazze o sui social: si è parlato tanto del referendum di oggi per il passaggio del Vco in Lombardia.

Il Vco, acronimo di Verbano Cusio Ossola, è con Biella la più giovane Provincia piemontese (l’istituzione risale al 1992). Superate le nozze d’argento, ha deciso di provare a cambiare nella convinzione (o con la speranza) che Lombardia sia meglio di Piemonte. A chiederlo sono stati 5.228 cittadini, tanto bastava visto lo statuto della Provincia. Ben diverso sarà raggiungere l’obiettivo: affinché il sì sia valido serve la maggioranza assoluta della popolazione con diritto di voto. Gli elettori nei 76 comuni del Vco sono 143.375: i sì, quindi, dovranno essere almeno 71.688.

Tra astensionismo e chi vuole restare in Piemonte (che quindi voterà no), per il sì vincere è un’impresa molto complicata. Lo sa bene anche Valter Zanetta, l’ossolano che un anno fa si è lanciato pancia a terra in questa operazione, ma ci crede. Nel cammino è rimasto solo coi suoi fedelissimi: sono iscritti alla Lega, eppure dal Carroccio non è arrivato un pubblico sostegno. L’unico supporter è stato, prima di chiudersi nel silenzio, il presidente della Lombardia Attilio Fontana in un comizio a Domodossola: «Vi aspettiamo a braccia aperte».

E solo è rimasto il paladino del Piemonte Aldo Reschigna, verbanese, Pd, vice presidente della Regione guidata da Sergio Chiamparino. In queste settimane è corso ovunque per non sottrarsi al dibattito, quasi sempre con Zanetta dall’altra parte. Un duello che ha rispecchiato quello popolare.

Cioè un confronto «di pancia», sulle emozioni, sulla storia e sulla cultura. Che Milano sia più vicina rispetto a Torino è indubbio, che all’università si vada in Lombardia pure, che la prima gita sia stata a vedere la «madunina» del Duomo anche (a proposito, il marmo della chiesa simbolo di Milano è di queste parti, viene da Candoglia, Ossola). Così come la parlata è più lombarda che piemontese. Su questo si è giocata la partita. Non sull’aspetto tecnico, fiscale e amministrativo.

Ognuno ha portato esempi, ovviamente favorevoli alla propria posizione. Ma non è stato preparato un quadro generale, né di parte né di un centro studi. E allora oggi, dalle 7 alle 23, si andrà a votare sulla spinta dell’emozione, dell’amico che ne sa di più o del medico di famiglia «di cui mi fido tanto». Ma anche del politico di riferimento, perché sotto sotto ogni sindaco una sua campagna elettorale l’ha fatta. Senza manifestarsi, per non mancare di riguardo all’ordine di scuderia.

Molti hanno lavorato per il sì («ma non fate il mio nome») perché «più alto sarà il risultato pro Lombardia, anche se il referendum non passa, più avremo forza contrattuale col Piemonte». Perché di questo si lamentano, a torto o ragione, gli amministratori locali: di avere scarsa attenzione da Torino. Forse la stessa cosa che dicono a Vercelli e Biella in Piemonte o Mantova e Cremona in Lombardia. Ma è un’altra storia.

Il referendum è comunque solo consultivo: se passa il sì, sentiti i Consigli regionali, sarà il Parlamento a dover ridisegnare la cartina geografica.

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