Si è concluso quest’anno 2017, l’anno del dopo referendum, del “non è successo niente”, del Governo della “ruota di scorta” del P.D., Gentiloni, della legge elettorale più pasticciata, basata sui risultati dei sondaggi sulle intenzioni di voto.
Ci siamo sforzati di non lasciare fuori dai nostri commenti, cioè, dal dialogo con quello che è divenuto un non trascurabile Gruppo con un suo atteggiamento politico-culturale, tutto quanto tutti noi vediamo svilupparsi nella società che ci circonda.
Ma credo che in questo anno la preminenza negli scritti su questa pagina fb, nei commenti, nelle risposte, in qualche non trascurabile eco in altri ambienti ed in qualche altro mezzo di comunicazione è stato l’argomento mafia-antimafia. O, per essere più precisi e meglio formulare una sintesi di un anno di lavoro, la questione dell’Antimafia come elemento corruttivo ed eversivo di quel tanto che resta del nostro ordinamento giuridico-giudiziario-politico.
Non è quindi per una personale inclinazione ad occuparmi di questioni del genere, né per il bisogno di dar sfogo ad una istintiva antipatia verso personaggi simbolo dell’antimafia professionale, che ho dato e credo che dovrò continuare a dare maggiore attenzione al fenomeno dell’antimafia mafiosa, soprattutto in quanto grimaldello con il quale si dà la stura al fenomeno della distruzione dell’ossatura democratica, a quanto resta di un diritto nato come espressione e salvaguardia di libertà.
Dire che le istituzioni libere appassiscono e vanno verso la loro fine a causa dell’antimafia e della creazione di un suo mito, di una sorta di misura teleologica di ogni valore nel complesso meccanismo dello Stato e del suo ordinamento e nella vita dei cittadini può apparire ed in qualche modo è, più che eccessivo, improprio.
Ma quanto è consumato, preteso, imposto, tollerato in nome della lotta alla mafia, la stessa “lotta” che sostituisce il concetto ed i principi di diritto e di giustizia, sono quanto basta a mettere in moto un fenomeno di erosione dell’apparato giuridico ed istituzionale di un Paese che voglia essere libero e liberamente rappresentato e governato.
Negli ultimi tempi ed in questo 2017 che se ne va, sono accaduti fatti, tanti e certamente non tutti da noi denunciati, che dovrebbero essere addirittura impensabili in un Paese libero. Ma ancor più impensabile, allarmante, deprimente è che la totalità dei partiti politici, la stampa che conta, la grande mangiatoia accademica non hanno avvertito, o non hanno dato segno di aver avvertito la gravità di questi episodi, il valore negativo, la pericolosità del loro complesso. Anche qualche critica esplicita e pesante di qualche personaggio che intellettualmente e per ruolo e fama assai ci sovrasta non ha mai toccato la questione della distruzione del tessuto delle strutture liberali.
Più che l’atteggiamento di personaggi, che forse è oramai un atto di indulgenza chiamare “i professionisti” dell’antimafia, come trent’anni fa li definì Sciascia, i Travaglio, i Di Matteo, l’Ing. Borsellino, i Teresi, la Rosy Bindi, un po’ tutti i Cinquestelle, quel che allarma e preoccupa è l’incapacità, la paura, la rassegnazione di persone intelligenti e sensibili, non prive di un passato e di una cultura nutrita di libertà e di giustizia, che non osano denunziare il fenomeno, il globale komeinismo antimafia che sta infettando la Repubblica. Ed anche i cretini, che, sempre secondo le parole di Sciascia, sono tanti, che accettano il fanatismo dell’antimafia anche quando ne sono vittime (penso, e lo dico, tanto si capisce, a Giovanardi che, incriminato per aver esercitato criticamente il suo ruolo di componente della Commissione Antimafia invocava la sua “buona fede” ed il fatto di essersi rivolto a Gratteri!), non sanno far altro che proclamare di essere “antimafia” più degli altri: essi sono un segno del vero pericolo.
Le prossime elezioni politiche ci danno già un quadro allarmante della situazione.
Non ci sarà un partito, un partitino, una corrente che proporrà la questione dell’antimafia mafiosa, invadente e corrotta come problema politico, come argomento di cui sia lecito e doveroso parlare.
Il Centrodestra, vittima del komeinismo che dell’antimafia è il distillato non è con Sgarbi. E’ con Musumeci che, all’opposto di Sgarbi ritiene Di Matteo un gigante del pensiero ed un letterato insigne.
Il peso della sciocchezza e della viltà delle unanimità dei Consigli Comunali (come quello di Genova) che hanno glorificato Di Matteo con la sceneggiata delle cento cittadinanze onorarie, peserà sulle elezioni politiche più di quanto gli stessi Cinquestelle si proponevano di ottenere.
Il Centrodestra succube di questa “Sindrome di Stoccolma” verso la “giustizia di lotta” che ha fatto fuori a suo tempo il Cavaliere, potrà raggranellare voti di quanti sono ancor più schifati della Sinistra, di Renzi e di Grillo. Ma non sarà il partito della rivoluzione liberale. La paura di infrangere posizioni fideistiche e superstizioni gli impedisce di essere quel che potrebbe e dovrebbe essere. E che, evidentemente, non è.
Mauro Mellini