Messi, Higuain: “No del calcio a Israele-Argentina

Ai napoletani l’esodo di Gonzalo Higuain in quel di Torino, nel team bianconero degli strapotenti juventini non è mai andata a genio. Ora c’è un buon motivo per la pacificazione e i tifosi di Insigne, orfani di Sarri, ma freschi di adozione del mitico Ancellotti, saranno pronti a una estemporanea e significativa empatia con il fuoriclasse argentino. Ecco il perché. Il furbo Netanyahu e il suo diavolo della morte, al secolo il ministro della difesa Avigdor Lieberman, falco della destra israeliana, quello che ha ordinato ai cecchini di fare il tiro al bersaglio sui palestinesi al confine di Gaza, ne hanno inventata un’altra per legittimare l’appropriazione illegittima di Gerusalemme. La prima mossa, costruita con sottile furbizia, fu la richiesta agli organizzatori del Giro d’Italia di esportare la partenza a Gerusalemme e le prime tappe in Israele. Il nome di Bartali è stato usato cinicamente esibendo il suo presunto eroico salvataggio di ebrei dalla deportazione in Germania. Persone a lui vicine hanno smentito tutto, con prove dettagliate, ma oramai lo spot propagandistico aveva fatto il suo effetto. Netanyahu e Lieberman, tronfi per il successo della prima furbata, hanno pensato di raddoppiare e programmato un incontro amichevole di calcio con l’Argentina. Il colpaccio, fosse riuscito, prevedeva un grande ritorno pubblicitario con la presenza del mitico Messi. Informata delle vere intenzioni israeliane, l’Argentina ha innestato la retromarcia: niente trasferta a Tel Aviv. L’ha convinta a recedere il presidente della Federcalcio palestinese Rajoub: “I valori, l’etica e il messaggio dello sport hanno vinto oggi, mostrando ad Israele il cartellino rosso”. Replica di Liederman: “Hanno ceduto a chi ci odia”. Dalla Palestina: “Grazie Messi per aver seguito la tua coscienza”. Ha commentato la sospensione dell’incontro Higuain: “E’ stato giusto non andare in Israele, la sicurezza viene prima di tutto. Alla fine è stata fatta la cosa giusta, la sicurezza e il buon senso sono al primo posto”. Sullo sfondo un altro palestinese ucciso al confine di Gaza e il solito alibi israeliano: era un terrorista.

L’esordio di Conte, in prima battuta, è filato quasi liscio, contenuti a parte, cioè senza pause e inceppamenti: facile, gli avevano scritto l’intervento, parola per parola. In seconda battuta, in vista dei sì di Montecitorio, il neo presidente del consiglio ha messo in mostra i limiti dell’approssimazione, dell’inesperienza, perfino della ignoranza, della disinformazione, tipica di un neofita prestato alla politica. A prescindere dalle rispettive argomentazioni, il balbettare di Conte, l’incapacità a destreggiarsi quando ha fatto confusione con gli appunti e la gaffe di non ricordare Piersanti Mattarella, vittima della mafia, l’accusa illegittima di inefficienza a Cantone e all’anticorruzione, gli aggiustamenti in corsa del suo tutor Di Maio, se si confrontano con l’intervento di Renzi in Senato, affabulatore di grande efficacia, protagonista di una filippica conclusa senza consultare un appunto, chiara, incalzante, incisiva, può non aver convinto i detrattori dell’ex segretario Pd, ma ha segnato la sua vittoria parziale su Conte con punteggio tennistico. E che dire del ministro degli Interni? Salvini Ha imboccato l’uscita da Montecitorio nel bel mezzo dell’assemblea. Colto da malore, per recarsi al capezzale di un parente in gravi condizioni? Per incontrare l’ambasciatore Tunisino e scusarsi per aver definito delinquenti i migranti del suo Paese? Niente di tutto questo. Il vice primo ministro aveva in tasca il biglietto aereo per volare in Puglia dove esibirsi in un nuovo comizio elettoralistico.

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