QUERELE / STELLA PROTESTA SULLE SPESE LEGALI. MA FAR CHIUDERE UN GIORNALE?

Fa bene, molto bene Gian Antonio Stella, nella sua rubrica “Tuttifrutti” del Corriere della Sera (12 dicembre, pagina 33) a toccare il tema bollente delle querele. Il titolo del pezzo parla da solo: “Querela infondata e avvocati da pagare”.

Per capirci subito basta leggere l’incipit di Stella: “E l’avvocato chi lo paga? Una sentenza della settimana scorsa a Torino ripropone sempre lo stesso tema: perchè un cronista querelato a capocchia deve pagare coi soldi propri il difensore che ha dovuto nominare anche se poi il giudice gli dà ragione?”.

E racconta la vicenda di una giornalista, Silvia Mazza, specializzata in temi culturali che “nel 2016 pubblica su il Giornale dell’Arte un pezzo critico sulla decisione della soprintendente di Siracusa Rosalba Panvini di consentire il trasloco temporaneo dell”Annunciazione’ di Antonello da Messina custodita a Siracusa”.

La Panvini non ci sta, si sente lesa nel suo onore e querela la Mazza. Alla quale il giudice torinese dà ragione, archiviando la querela.

Nota Stella: “L’archiviazione dimostra quanto la querela fosse così infondata da non meritare neppure un processo. Allora perchè, in casi così, chi fa perdere tempo ai giudici e al querelato non viene condannato a pagare tutte le spese legali per fargli passare la voglia la prossima volta? Perchè troppi politici, di destra e di sinistra, leghisti o grillini, non hanno intenzione di cambiare la legge. E’ così comodo poter intimidire un giornalista e non pagare pegno…”.

Una seria legge sulla “diffamazione” purtroppo non l’ha mai voluta scientemente alcun partito, dalla Dc al Pci-Pds-Ds-Pd e via passando da prima a seconda Repubblica. E’ un obbrobrio ma nessuno, in Parlamento, se ne è mai fregato prima e tantomeno se ne frega adesso: l’unica cosa all’ordine del giorno sono “i tagli all’editoria”, senza se e senza ma.

Antonio Di Pietro. Nell’altra foto Alberico Giostra e, in alto, Gian Antonio Stella.

Ma quello sottolineato giustamente da Stella è solo un piccolo aspetto del tutto. Solo una parte di un problema gigantesco che sta ammazzando la libertà di stampa e il diritto all’informazione senza che NESSUNO alzi un dito, neanche mezzo, per protestare e proporre qualcosa.

I giornalisti che cercano di fare il loro mestiere per alzare gli altarini sulle trame dei poteri mafiosi e non si impegnano con lecchinaggi continui al potente di turno, sono sempre sotto tiro: hanno un revolver puntato alla tempia che prima si chiamava citazione civile, con un provvedimento già esecutivo in primo grado; e adesso anche con il penale, dove la presunta vittima di lesa maestà può ottenere una “provvisionale” (da 5-10-20 mila euro) e poi continuare il massacro per via civile.

In questo modo lorsignori, politici, mafiosi, faccendieri, hanno gioco facilissimo: spararla grossa – tanto a loro gli avvocati non costano niente – e ottenere il risultato sperato: se gli va bene, come spesso accade, trovano il giudice compiacente e si vedono concedere subito la provvisionale che per il giornalista è un prima fucilata; oppure in tempi brevi ottengono la sentenza civile da 30-40 mila euro, già esecutiva in primo grado, con l’ufficiale giudiziario fuori di casa a pignorarti quel poco che hai.

A noi è capitato di subire una condanna da 100 mila euro per 20 righe scritte da un giornalista Rai, Alberico Giostra: una preside di Sulmona amica di Antonio Di Pietro si era sentita offesa nell’onore. E la Voce ha dovuto chiudere la sua edizione cartacea in vita da 30 anni esatti.

E’ giustizia questa? A questo punto gradiremmo il giudizio di Stella: più che sulla pagliuzza, sulla trave.

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