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Io la penso così

Donne contenitori e schiave per difendere i diritti dei Gay. – di Giuseppe Rizzoli

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Caro Direttore,

chissà se i tanti giovani che hanno marciato al Gay pride di ieri a Trento, senza essere gay, convinti di difendere i diritti di una minoranza senza diritti, sanno chi è Premila Vaghela.

Siamo nel maggio 2012.

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Premila Vaghela è una donna trentenne, indiana, che fa riferimento al PulseWomen’s Hospital, struttura privata presentata come sicura ed efficiente e che segue le madri surrogate ad Ahmedabad, nel Gujarat, stato dell’India occidentale.

Da otto mesi porta in grembo un bimbo “commissionato” da americani quando, dopo aver accusato dei forti dolori, viene immediatamente ricoverata nella locale unità di terapia intensiva prenatale.

I tempi e la qualità del soccorso non sono dei migliori dato che, purtroppo, i medici non sanno cosa fare contro il grave collasso cardiaco che la attanaglia.

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Il figlio, di appena 1,740 kg, viene fatto nascere con parto cesareo e messo subito in incubazione.

Ci si fa in quattro per salvare il bambino, che vale migliaia di dollari. E’ già stato comperato.

Tantissime sono le donne come Premila che subiscono uno sfruttamento che ha fatto dell’India l’Eldorado mondiale della maternità surrogata.

All’utero in affitto ricorrono i ricchi, per lo più bianchi; coppie naturali e, soprattutto coppie gay.

Per queste ultime, il ricorso all’utero in affitto, è infatti necessario, imprescindibile.

Per questo, nei paesi dove viene riconosciuto il matrimonio gay, diventa inevitabile legalizzare anche l’utero in affitto, detto anche“maternità surrogata” o “gpa” (gestazione per altri).

Ma, qualunque sia il nome, rimane un fatto: donne contenitori, donne schiave, per partorire bimbi che rimarranno senza madre.

Cari giovani, vi hanno detto che avrete marciato per i diritti: ma non quelli di Premila. Non quelli dei bambini innocenti. Per i diritti di chi ha ha soldi e usa gli altri, donne e bambini, come fossero una proprietà.

Giuseppe Rizzoli

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