Mercoledì, 1 Maggio 2024

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Io, De Andrè, la chiesa e la scomunica del Pci

Io, De Andrè, la chiesa e la scomunica del Pci Io, De Andrè, la chiesa e la scomunica del Pci | © n.c.

L’altra sera ho visto lo sceneggiato su De Andre’. Visione dettata dalla nostalgia. Sicuramente. Ma non vorrei parlare dello sceneggiato (come tanti sceneggiati italiani mal scritto, lento, semplificativo, con attori che parlano accenti strani e un Faber “foneticamente” romano) ma del mio primo contatto con De Andrè.

Intorno al 1970 De Andrè non andava in radio. Anche perché c’erano, allora, solo tre radio in Italia. E neanche in televisione. Due canali part time. Tant’è che è vero che il primo passaggio di un pezzo di De Andrè fu per merito di Mina.

Come avremmo potuto noi, ragazzini della provincia di tutte le provincie a sud del sud ascoltare De Andrè?

Impossibile. Le riviste musicali erano Giovani (poi diventato Qui Giovani, aprendosi al rock) Ciao amici e Big. Io leggevo Giovani. Ma gli interessi di quel giornale si rivolgevano al beat e al pop. I Cantautori erano molto marginali. E comunque De Andrè non arrivava nella Hit Parade di Lelio Luttazzi, che si ascoltava come carbonari nelle auricolari delle radioline a transistor all’ora di pranzo. Allora come è successo che lo abbia ascoltato? È successo che io i primi Album di De Andrè li ho ascoltati in chiesa.

Sì: in chiesa. Sembrerebbe strano, oggi, soprattutto se ripensiamo al De Andrè politico e anarchico. Ma è così.

Ché poi, a pensarci bene, forse in quel tempo era davvero più facile ascoltare De Andrè in Chiesa che nella Casa del Popolo. De Andrè alla Grande Chiesa Laica del PCI non piaceva: troppo anarchico per essere Comunista Organico, troppo figlio di papà per essere figicciotto. La scomunica del PCI di quegli anni era anche contro Pasolini. Poi uno scriveva le canzoni sugli apocrifi, l’altro girava il film sulla Passione di Cristo e allora i preti più sessantottini ascoltavano e vedevano, le sezioni chiudevano le porte. Siamo stati sempre guelfi e ghibellini. Avessimo ascoltato più De Andrè e letto Pasolini...

Don Gino Leante - che ho seguito con affetto e riconoscenza dal 1969 (avevo dodici anni) fino al 1977, anno del mio studentato fuori sede, ma anche oltre per il tempo che ho potuto - aveva tutta la collezione degli LP di Faber. Ascoltati prima nel suo studiolo nel Santuario del Crocifisso, poi nella sede del circolo giovanile “Dimensione Nuova”, in via Tommaso Grossi, primo piano. Sede che restaurammo un mese d’estate improvvisandoci piastrellisti, intonacatori, imbianchini, elettricisti, falegnami.Don Gino mise a disposizione della comunità il suo bel mobile Radio-Giradischi stereo Brionvega, un mostro per quelli anni (ma anche oggi sarebbe un prezioso oggetto di design), e anche la sua preziosissima collezione di dischi.

Così, solo grazie a lui, potetti ascoltare De Andrè, Guccini, i Nomadi. Ma grazie a lui ho anche letto Pasolini. Penso che Don Gino si era avvicinato a De Andrè per via de La Buona Novella. E poi si era fatto portare tutti gli album prenotandoli dalla Discoteca La Greca di Erriquez a Lecce, a quel tempo l’unico spacciatore di dischi evoluto. Ricordo ancora che mi studiavo quelle copertine con il bollino dorato ovale di quel negozio.

Altri anni, altri personaggi. Altra qualità musicale e letteraria.

Ma da questo ricordo si conferma sempre più la mia idea che non si debba mai ragionare per categorie, ma per persone. A don Gino Leante, per esempio, debbo tanto del mio senso critico, tanta della mia cercata laicità, tanto della mia libertà di pensiero, tanta della mia curiosità, tanto del mio amore per storia e filosofia, per la cultura, tanta della mia necessità di comunicare, e anche per avermi dato tutti gli strumenti ed elementi per farmi una mia personale idea politica. Un po’ diversa dalla sua. E mi fece capire che i preti non sono santi, ma uomini deboli come tanti. Riconoscente sempre. Anche per De Andrè.

Insomma: se non mi sopportate per quello che sono prendetevela con un prete. Come al solito la colpa è loro!

Giuseppe Resta

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