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Anpi, tessera ad honorem a Gerolamo Morelli

Durante la cerimonia di consegna in sala consiliare, è stato ricordato un episodio che 73 anni fa ha visto protagonista Gerolamo

Nella foto in copertina, da sinistra, Sandro Morelli, Nareda Saporiti e Roberto Mezzenzana che consegna la tessera ad honorem


Gerolamo Morelli, classe 1913, apparteneva alla 101° Brigata "G. Novara". Il suo nome di battaglia era "General Polenta" e operava fra San Giorgio su Legnano e la Valsesia. Operaio della Franco Tosi, in fabbrica preparava di nascosto le munizioni per i partigiani, avendo l'accortezza di allontanare il suo aiutante per evitare possibili incidenti. Talvolta, andava alla stazione di Canegrate a recuperare le armi che arrivavano in casse anonime da Milano e le nascondeva sul campanile di San Giorgio, aspettando il momento propizio per portarle ai partigiani della Valsesia.

Un "curriculum" certamente di tutto rispetto, che gli è valso nei giorni scorsi la consegna della tessera ANPI ad honerem perchè «durante gli anni della Resistenza formò il suo antifascismo e si prodigò per ridarci la libertà». La consegna, nella cornice della sala consiliare di Piazza IV Novembre, dalle mani del presidente dell'ANPI sangiorgese Roberto Mezzenzana e di Nareda Saporiti, nipote di un uomo che fu figura centrale in uno degli episodi che ha visto Morelli protagonista, direttamente in quelle del figlio di Gerolamo, Sandro Morelli

«Quando ero piccola il nonno, Vincenzo Cavaleri, mia fonte principale di racconti, storie e aneddoti tragici o comici, mi raccontò l’avventura che gli era occorsa il 25 aprile di tanti anni fa – racconta Nareda Saporiti –. Innanzitutto è necessario spendere due parole sul nonno: uomo di estrema gentilezza e bontà, fiducioso, con un senso religioso profondo e genuino, non aveva mai voluto prendere la tessera del partito fascista, nemmeno in tempi in cui era normale, anzi, quasi d’obbligo prenderla. Le conseguenze di questa scelta non avrebbero tardato a venire: non essendo tesserato, mi raccontava, non c’era nessuno che volesse o potesse assumerlo. Così, non gli era rimasto che fare un corso da infermiere e andare a lavorare a Milano, al Sacco, allora un sanatorio, dove confluivano i malati di tubercolosi. Questa malattia era, allora, piuttosto temuta perché considerata estremamente grave e alla lunga mortale, quindi nessuno andava volentieri a lavorare in un posto così pericoloso. Vista la scarsa appetibilità dell’impiego, la direzione del sanatorio aveva chiuso entrambi gli occhi sulla mancanza della tessera fascista». 

«Dunque, il mio nonno "Vice" nei giorni precedenti il 25 aprile 1945 era rimasto bloccato a Milano perché non era molto sicuro muoversi, si voglia per via dei rastrellamenti, o dei bombardamenti, o del caos e dell’incertezza che da sempre accompagnano situazioni particolari – continua la nipote di Cavaleri –. Finalmente il 25 aprile si risolve a partire per tornare a San Giorgio, anche perché era in pensiero per la sua famiglia. Treni non ce n’erano, quindi non gli restava che tornare a piedi. Posso solo immaginare quello che vide durante il tragitto, perché di tutto questo non ha mai raccontato niente. Giunto a Canegrate, nei pressi della chiesa di Santa Colomba, ha incontrato un gruppo di partigiani, che volevano passarlo per le armi poiché, secondo loro, doveva per forza essere un fascista in fuga. Aveva un bello spiegare lui, che in vita sua del fascismo non aveva mai voluto saperne. La discussione stava prendendo una brutta piega, quando è arrivato il "General Polenta", al secolo Gerolamo Morelli. Si sono vicendevolmente riconosciuti e, per fortuna, San Giorgio era un paese in cui ognuno conosceva tutti. Scambiati i saluti di rito e chiarito perché il nonno era lì, in che condizioni è facile immaginarlo dopo più di 30 kilometri a piedi, il "Generale" ha garantito per lui, così il nonno è potuto tornare a casa sano e salvo».

Marco Tajè
direttore@legnanonews.com
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Pubblicato il 08 Marzo 2018
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