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Commozione ai Santi Martiri per lo Sri Lanka

Fedeli italiani e comunità srilankese hanno pregato insieme per le vittime degli attenti nell'isola - L'omelia del parroco, don Fabio Viscardi

[pubblicita]     Molta commozione la sera di sabato 27 aprile alla messa prefestiva nella chiesa dei Santi Martiri gremita di fedeli italiani e srilankesi. Una dolorosa occasione ha permesso questa esperienza di “chiesa dalle genti”: l’attentato che nel giorno di Pasqua ha fatto strage nella piccola isola dove per secoli hanno convissuto in relativa pace fedeli di almeno tre grandi religioni.

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La celebrazione è stata introdotta da una suggestiva processione dove un centinaio di fedeli hanno portato ai piedi dell’altare un fiore o un lume a ricordo delle persone scomparse, insieme alle bandiere dei sette paesi che piangono connazionali tra le vittime. Presieduta da don Fabio Viscardi e concelebrata da don Luigi Poretti e da p. Claude (ogni mese nella chiesa celebra l’eucarestia in lingua cingalese), la funzione è proseguita alternando canti e letture nelle due lingue.

Proponiamo quasi per intero la riflessione dettata da don Fabio dopo la proclamazione del Vangelo.


Un grido, una richiesta, uno sguardo, una preghiera
Anzi: un duplice grido, una duplice richiesta, un duplice sguardo e una duplice preghiera

Un grido

Un grido di dolore. È questo il primo colore della nostra preghiera questa sera. È il grido con cui diamo voce agli innocenti uccisi il giorno di Pasqua, ai nostri fratelli nella fede e nel battesimo condannati a morte nella festa della risurrezione. È il grido di chi non si vergogna, anzi si onora di poterli chiamare “martiri innocenti”. Perché questo è il termine che la chiesa riserva per quanti, pur in modo inconsapevole, periscono a motivo di Gesù Cristo.

Un grido di protesta. Contro una violenza insensata e cieca di fronte a cui non possiamo tacere. Perché noi non confondiamo la bontà con il buonismo, la misericordia con la debolezza. È il grido di chi protesta con fermezza la prevaricazione del male sul bene, della morte sulla vita.

Una richiesta

Anzitutto la richiesta che il terrorismo venga rifiutato da tutti e che dunque il terrorismo islamico sia rifiutato in primis dagli islamici. Come bene ha detto il nostro vescovo mons. Delpini: «quanti credono in una religione così antica e ricca di valori, siano loro stessi a dichiarare che non possono accettare di essere confusi con i terroristi che seminano odio».

Noi chiediamo dunque a tutte le religioni di essere a servizio della pace.

Poi una richiesta alla comunità civile. Anche qui lasciamo la parola al nostro arcivescovo: «Mentre il terrorismo si organizza a livello internazionale, le forze della giustizia, le Istituzioni preposte al bene comune non sono capaci di organizzarsi allo stesso livello per proteggere i loro cittadini, per difendere persone che sono inermi, che vivono la loro vita costruendo il bene per sé e le loro famiglie. Dobbiamo fare appello alle Istituzioni perché siano forti, intelligenti, alleate per il bene».

Uno sguardo

Guardiamo alle mani di Gesù. Mani trafitte eppure capaci di offrire. In queste mani vediamo la chiesa che lungo la storia si presenta come una comunità ferita. E in queste mani contempliamo questa sera in particolare le mani ferite della chiesa srilankese, le fragilità e le paure, di questa chiesa nostra sorella.

Guardiamo alle mani di Gesù. Mani trafitte eppure capaci di offrire. E poi guardiamo le nostre mani. Mani capaci di benedire e maledire, di compiere gesti eroici e misfatti incredibili, di colpire e di abbracciare, di ferire e di sanare. E a queste nostre fragili mani il Signore affida i destini della nostra chiesa e della nostra umanità. Mani che non possono restare inerti, indifferenti e in qualche modo persino complici.

Una preghiera

Preghiamo anzitutto per le vittime di questa strage degli innocenti. Preghiamo per i cristiani dello Sri Lanka, ma anche per le persone di altre nazioni e di altre religioni pure coinvolte nella strage. Noi che crediamo nella risurrezione chiediamo per loro la luce della vita senza fine.

Insieme preghiamo per la chiesa dello Sri Lanka. Perché il male subito non induca al risentimento e alla vendetta, ma aiuti a comprendere le modalità misteriose con cui si manifesta la gloria di Dio, la gloria della croce. Perché sappiano trovare nella speranza cristiana sentieri di pace per costruire una trama di convivenza pacifica tra buddisti, cattolici e musulmani nella loro terra. Perché anche a nome nostro abbiamo la forza e il coraggio di dire come Gesù: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”.

(Fonte, http://www.ssmartiri.it)

Marco Tajè
direttore@legnanonews.com
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Pubblicato il 28 Aprile 2019
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