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Laura Boldrini, l'arringa contro la violenza degli uomini. Ma scorda gli immigrati

Andrea Tempestini
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Forse è solo un caso che la presidente della Camera Laura Boldrini abbia parlato agli uomini di violenza sulle donne in un'aula piena di sole donne. Oppure è una scelta politica e di rottura ben precisa, ma dà un idea di quanto la maggioranza di governo sia talmente calata nella parte dal tralasciare un dettaglio importante come la scelta della platea. Un po' come la maestra che deve parlare agli studenti ma convoca solo i professori. O il don di campagna che vuole convertire i miscredenti ma riempie la chiesa soltanto di beghine e basabanchi. Dettagli, siamo sinceri. E non è nostra intenzione mescolare le carte. Ma siamo sempre un po' sorpresi dalla capacità di una certa sinistra di raccontare solo la realtà che vuole e nei modi che vuole. Tralasciando dettagli che non sono orpelli ma parte importante di vita quotidiana. Non fraintendete, sottoscriviamo ogni parola della presidente. Vero che le violenze sono troppe e troppo spesso taciute. Che si insinuano nelle strade e nelle case, che avvelenano le carriere e riducono le esistenze al lumicino. Che sono coltelli impugnati nella notte ma anche botte e insulti vomitati nella quiete del tinello di casa. E ha ragione la Boldrini: gli uomini devono dire e denunciare, alzare gli sguardi e invocare leggi e freni. Ma allora si dica anche delle altre violenze. Quelle che coinvolgono gli immigrati, e sono spesso abusi di cultura e religione, figli di una mentalità balorda che considera la donna inferiore e sottomessa al marito. Lo ribadiamo, sono tante le violenze sessuali commesse dai maschi italiani: 2327 il dato Istat 2015 e gran parte degli orchi hanno tra i 45 e i 54 anni. Ma tanti sono anche gli stranieri denunciati o arrestati per stupro: 1656 secondo gli ultimi resoconti, la maggior parte tra i 25 e i 35 anni (559). E all'apice della classifica ci sono i romeni (323 casi), poi i marocchini (225) e gli albanesi (96). Sono dati, non chiacchiere, e vanno raccontati. E se non bastassero i dati e le statistiche giunge in soccorso la cronaca. C'era una ragazzina notti fa in una stanza di ospedale del Torinese. Una bellissima bimba nigeriana di 11 anni col ventre gonfio come un ragazzino del Biafra. La mamma attendeva tremebonda il responso del medico e il medico la gelava senza replica, «sua figlia è incinta». Incinta perché stuprata dal simpatico amico di famiglia nigeriano che la accudiva quando la povera madre non c'era. Cosa resterà della ragazzina e della sua infanzia spensierata? Nulla. L'altro giorno invece è toccato a 5 ragazzi egiziani finire sui giornali, cinque fratelli come nelle famiglie grandi di un'Italia di tanti anni fa. Volevano vivere all'occidentale, avevano a noia la recita quotidiana del Corano e quel velo sui capelli che copre le teste e fiacca i sogni: botte sberle per loro e anche il filo elettrico per frustarli meglio. E che dire delle spose bambine in Italia, anche quelle frutto di una cultura che vede la donna sottomessa e le impone un marito e una vita adulta quando dovrebbe avere giochi, compiti e un'adolescenza di libri e amori innocenti? O dei bimbetti schiacciati nelle pance di mamme rom che con i loro figli in grembo vanno a rubare in stazione? Vittime i bimbi e colpevoli noi che non ci indignamo. Che non denunciamo con chiarezza, nelle aule della politica e in ogni occasione pubblica. Il silenzio non serve. Servono misure che non siano solo di accoglienza indiscrimanata ma anche di inclusione culturale e di prevenzione dei soprusi. O si finirà stritolati dal politically correct. Il “non dire” e “non accusare” per non indignare qualche anima bella. Un po' come in agosto, quando ci fu lo stupro del branco di Rimini e per qualche ora si ebbero remore e paura a dire che gli stupratori erano immigrati. di Simona Bertuzzi

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