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Matteo Renzi, il vero piano: lasciare il Pd per poi aiutare Silvio Berlusconi

Andrea Tempestini
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Guai a chiamarlo “Nazareno degli sconfitti”, perché dentro Forza Italia reagiscono male, però il concetto è quello. Anche se il 90 per cento del lavoro, stavolta, dovrebbe farlo Matteo Renzi, per poi consegnare il grosso dei dividendi al Cavaliere: ma sono i prezzi che si pagano quando un elettore su due ti volta le spalle. Leggi anche: Renzi e l'ultimo schiaffo incassato dagli elettori Pd Tutto inizia dai numeri, come sempre quando occorre mettere in piedi un governo. Vince chi, tra il centrodestra e i Cinque Stelle, dimostra al presidente della Repubblica di avere dalla propria parte almeno 316 deputati e 161 senatori, ovvero la maggioranza in ambedue i rami del Parlamento. La coalizione di Matteo Salvini, Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni è la più vicina al traguardo, potendo contare su 263 eletti a Montecitorio e 137 a palazzo Madama, inclusi quelli votati all'estero. Mancano, quindi, 53 deputati e 24 senatori. Cioè molti meno di quanti sono i parlamentari del Pd, che ammontano, rispettivamente, a 117 e 59, alleati inclusi. Perché si formi un nuovo esecutivo, allora, non serve l'appoggio di tutta la delegazione democratica, ma solo di metà di essa. Ed è qui che l'ormai ex segretario entra in pista. Domani, alle 15, aprendo i lavori della direzione, il numero due del Pd, Maurizio Martina, ufficializzerà le dimissioni di Renzi. Fine del discorso? Nemmeno per idea: in quell'istante inizierà una nuova partita. L'ex sindaco di Firenze chiede rispetto e garanzie, cose che in politica si misurano in poltrone. Non per sé, ci mancherebbe, ma per i suoi. Chi sarà il prossimo segretario? Verrà scelto dall'assemblea di metà aprile, come sperano i renziani, che sono forti in questo organismo e contano di riuscire a imporre Graziano Delrio? O saranno indette nuove primarie, seguendo la linea indicata da Nicola Zingaretti? A fine mese si eleggeranno i presidenti delle due Camere: il Pd porterà acqua al mulino di Luigi Di Maio, per poi magari scortarlo al governo? E chi saranno i capigruppo in Parlamento? Al Senato spinge per essere confermato Luigi Zanda, che i renziani ritengono però un avversario. Sulla carta questi ultimi dovrebbero riuscire a imporre uno dei loro, come Andrea Marcucci. Ma le vecchie affiliazioni sono state scosse dal risultato elettorale e molti non hanno ancora deciso da che parte buttarsi. L'atmosfera, per l'ex premier e i suoi, potrebbe davvero farsi irrespirabile. ULTIME CARTE Il grande sconfitto, però, ha ancora qualche carta da giocare. Una è la coincidenza di interessi tra il Pd e Forza Italia: ambedue i partiti faranno di tutto per evitare che si vada a nuove elezioni dopo l'estate, perché significherebbe perdere ulteriori seggi a favore di M5S e Lega. E l'unico modo per disinnescare la bomba è favorire la nascita di un nuovo esecutivo. L'altra carta in mano all'ex enfant prodige sono i seggi in Parlamento: dopotutto, le liste dei candidati le ha compilate lui. E anche se non tutti gli sono rimasti riconoscenti, per fare ciò che ha in mente gliene bastano meno della metà. A palazzo Madama, dove si è fatto eleggere, rispondono ancora a lui 38 senatori secondo i calcoli di chi gli è vicino e 24-25 a detta dei suoi avversari interni: quanto ne bastano, in ogni caso, per far quadrare i conti del centrodestra. Discorso simile a Montecitorio: qui sarebbero almeno una cinquantina quelli pronti a seguirlo. Con l'aggiunta di qualche centrista e degli eletti all'estero sotto altre sigle, il governo avrebbe un minimo di solidità. Mentre l'altra parte del Pd, quella che potrebbe avere interesse ad ascoltare le sirene grilline, non riuscirebbe a far diventare Di Maio premier nemmeno se sommasse i propri voti a quelli della sparuta pattuglia di Liberi e Uguali. ALTRA SCISSIONE Messo alle corde, dunque, Renzi avrebbe gioco facile a provocare l'ennesima scissione e creare un partito (della Nazione?) assieme ai suoi pretoriani, consentendo al centrodestra di formare un governo e alla legislatura di andare avanti. Che lui e i suoi ci stiano lavorando non è un mistero e infatti c'è chi, come il sindaco di Milano Beppe Sala, gli chiede pubblicamente di fermarsi, perché «farebbe il male di tutti». L'aiuto di Renzi al centrodestra non sarebbe gratis, ovviamente. Qualcosa lui e i suoi “responsabili” dovrebbero ottenerla e il prezzo richiesto sarebbe il passo indietro di Salvini, il quale lascerebbe palazzo Chigi a un esponente più moderato del Carroccio. Una mossa che farebbe godere tanti forzisti, ancora imbottiti di Malox e infuriati con quella parte dei loro dirigenti accusata di aver dato il partito azzurro in pasto alla Lega. Ed un disegno che spiega come mai Berlusconi preferisca parlare di «incarico di governo al centrodestra» anziché di «incarico a Salvini»: stai a vedere che qui Renzi ci cova. di Fausto Carioti

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