Città come campi profughi con l’accoglienza alla milanese dell’assessore Majorino

Milano

Ormai è normale che immigrati e disperati dormano sui marciapiedi del centro di Milano. Mentre l’assessore delle «porte aperte» ha il record di uso dell’auto blu

Milano 7 Ottobre – Quando si dice l’irresistibile allergia al decoro.

C’è un marciapiede che spinge allo slalom i passanti (in possesso d’un aplomb fuori dall’umano, e assai milanese). Ci sono due signori in dormiveglia, stravaccati su materassini lerci, insaccati dentro coperte di fortuna, con un cane trasformato in uno scaldino narcolettico,  sotto un muro di pregio imbrattato da un graffittaro in crisi d’astinenza. C’è il respiro del cielo plumbeo di un mattino qualunque – sono le 10.30 – d’autunno in corso Italia, un tempo una delle vie pregiate del centro di Milano. Un tempo. Non sono, le suddette, le immagini del grande fotografo dei clochard Lee Jeffries, o i ritratti sfocati del vagabondo di Chaplin. Non c’è nulla di romantico nella foto scattata ieri nel cuore della Milano che annuncia l’incasinata e multietnica «città dell’accoglienza» di Pierfrancesco Majorino. Majorino è un politico letterario, uno  che avrebbe voluto vivere in un romanzo di Emile Zola, di quelli traboccanti della miseria degli umili e dei derelitti. Più miseria e umili ci sono e meglio è.

Majorino è il responsabile del welfare della giunta Sala, l’uomo che ha fatto dell’eccesso di servizio sociale e dell’accoglienza sfrenata una missione di vita, preparando Milano ad essere una piccola Bombay anni 70, con i punkabbestia al posto delle vacche sacre. Preferivamo le vacche, ad essere onesti. Ma non perché siamo privi d’umanità, forse perché ne abbiamo troppa: e vorremo vedere per questi povericristi la possibilità di una casa, di una sistemazione dignitosa che poco ha a che vedere col moltiplicarsi di bivacchi che tolgono il fiato alla città. Vorremmo non vedere ragazzi senza tetto e speranza spingersi all’orinata quotidiana verso le aiuole di Porta Genova; o aspettare la notte tra i propri rifiuti per imbucarsi come talpe nelle tane dei giardini di Porta Venezia; o disporsi all’adiaccio, rasenti i muri, nel passeggio di Corso Vittorio Emanuele. Qualche collega, esperto della «dottrina Majorino», ha commentato la foto: «Per forza, sono bianchi; fossero neri sarebbero in albergo… ». Ci può stare, ma anche no.

Qui non si tratta di etnia, di colore della pelle, di pregiudizio securitario verso lo straniero. Probabilmente i belli addormentati nel corso sono italianissimi, o magari sono macedoni, o profughi da guerre lontane. Non importa. Il problema non è dare accoglienza: è come darla il meglio possibile, ammettendo che se non si può conferire dignità al migrante, be’, forse è meglio non accoglierlo. Lo ha detto il Papa, Majorino, nicchia.

Majorino è il componente della giunta comunale che viaggia di più in auto blu (l’auto di servizio: 145 viaggi tra l’1 febbraio e il 1 settembre 2017); dietro quei finestrini ambrati l’uomo osserva la realtà con un distacco tutto ideologico. Dall’abitacolo il grido d’allarme della città gli arriva attutito; all’uomo sfuggono le denunce dei vetri rotti e delle gomme squarciate in zona Castaldi, le coppie immortalate a far sesso in corso Garibaldi, i pisciatoi improvvisati ai lati del Duomo, le bande di sbandati che deturpano il tessuto stesso di una città – Milan col coeur in man – che da sempre fa della solidarietà silenziosa una cifra stolistica.

L’accoglienza autentica non è aprire le porte della città dicendo «prego, accomodatevi, c’è sempre posto..», senza però, poi, lasciare aperte le tue; non è diffondere la voce che qui possono intrupparsi cani e porci, ma pure veri disgraziati bisognosi di un sostegno oramai insostenibile. Majorino resta convinto che l’approccio ideologico, comunista alla materia sia il più efficace. E, anche se l’effetto è controproducente, non gl’interessano l’imbarazzo, la rabbia dei milanesi estenuati. Gli importa, soprattutto, di fare un dispetto alla parte politica avversaria. Si crede il Jean Valjean dei Miserabili, l’eroe dei bassifondi che combatte il sistema dalla barricate (anche se lo fa dall’auto blu). Inoltre, il buon Majorino è ossessionato dalla marce. Appena vede una marcia, l’accenno di un movimento di popolo, specie di migranti, di onlus, di ong, Pierfrancesco ci s’infila; e si trasfigura, e innalza il pugno chiuso e attacca le istituzioni, dimenticandosi di esser egli stesso l’istituzione. Il giorno che vedremo l’assessore dormire in centro in un sacco a pelo, aggrappato al labrador di D’Alema, plaudiremo alla sua bizzarra forma d’accoglienza (ma non vorremo avergli dato un’idea…).

Francesco Specchia (Libero)

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