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01 Aprile 2019

AGCM scrive a Camera e Senato contro le norme Boldi sulla pubblicità: non garantiscono prestazioni sanitarie più sicure e possono essere utilizzate dagli Ordini in modo strumentale

Norberto Maccagno

Le norme introdotte dalla Legge di Bilancio 2019 in tema di pubblicità (articoli 525 e 536) della legge di Bilancio 2019: “sottrae l’intero comparto delle professioni sanitarie alla possibilità di ricorrere alla leva pubblicitaria, limitando la concorrenza tra professionisti sanitari in misura non proporzionata all’interesse generale di tutelare la sicurezza dei consumatori; viola le disposizioni che attribuiscono all’Autorità la competenza a vigilare sulla correttezza e trasparenza delle comunicazioni informative sanitarie; introduce ingiustificati vincoli all’esercizio della figura del direttore sanitario”. 

A sostenerlo è l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato che pubblica (oggi) sul proprio bollettino, il commento alla Legge di Bilancio 2019 inviato alla Camera ed al Senato il 19 marzo scorso

Ricordando come l’AGCM aveva già espresso parere negativo verso le modifiche in tema di pubblicità sanitaria inserite nel Disegno di Legge, che poi sono state disattese, l’Autority ritiene pertanto “opportuno ribadire che le norme in questione, applicabili a tutte le professioni sanitarie - siano esse esercitate a titolo individuale o in forma societaria - sollevano criticità in relazione ai limiti posti al contenuto della pubblicità sanitaria, alla ripartizione delle competenze in materia di vigilanza sulla pubblicità, nonché all’introduzione di restrizioni all’esercizio dell’attività di direttore sanitario”.  


In tema di Pubblicità

L’AGCM ricorda che la possibilità per i professionisti che esercitano attività regolamentate, anche nel settore sanitario, di pubblicizzare le proprie prestazioni professionali è stata introdotta dal decreto Bersani che ha abrogato il divieto di pubblicità informativa dei professionisti di liberalizzazione è poi proseguito delineando un quadro normativo che definisce molto chiaramente quali sono i limiti della pubblicità anche nel peculiare e delicato settore sanitario, contemperando l’interesse generale di tutelare la concorrenza con le incomprimibili esigenze di tutela della salute e del consumatore. Successivamente, continua la nota AGCM, il legislatore ha previsto una disciplina uniforme in materia di pubblicità per tutte le professioni regolamentate. In particolare con l’art. 4 del D.P.R. 137 del 7 agosto 2012, recante la riforma degli ordinamenti professionali si ammette “con ogni mezzo la pubblicità informativa avente ad oggetto l’attività delle professioni regolamentate, le specializzazioni, i titoli posseduti attinenti alla professione, la struttura dello studio professionale e i compensi richiesti per le prestazioni. (comma 1). La pubblicità informativa di cui al comma 1 dev’essere funzionale all’oggetto, veritiera e corretta, non deve violare l’obbligo del segreto professionale e non dev’essere equivoca, ingannevole o denigratoria (comma 2). La violazione della disposizione di cui al comma 2 costituisce illecito disciplinare, oltre a integrare una violazione delle disposizioni di cui ai decreti legislativi 6 settembre 2005, n. 206, e 2 agosto 2007, n. 145. (comma 3)”.  AGCM che ricorda di aver “accolto con favore tale spinta liberalizzatrice, dalla stessa supportata con molteplici interventi di advocacy, da sempre evidenziando l’importanza della pubblicità, sia quale cruciale leva competitiva, soprattutto per i giovani professionisti, sia per la sua funzione di colmare le asimmetrie informative".

Anche per questi motivi l’AGCM ritiene che la nuova disciplina introdotta con la Legge di Bilancio 2019 “reintroduca ingiustificate limitazioni all’utilizzo della pubblicità nel settore delle professioni sanitarie, rimosse dai richiamati interventi di liberalizzazione, e non risulti necessaria, né proporzionata all’interesse generale di tutelare la sicurezza del consumatore”.

Per l’Autority, “prescrivere che il contenuto legittimo di una “comunicazione informativa”, avente ad oggetto i titoli, le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto e il prezzo delle prestazioni, debba altresì “garantire la sicurezza dei trattamenti sanitariintroduce un parametro di valutazione delle comunicazioni talmente vago e indeterminato da generare incertezza circa la legittimità della comunicazione stessa da parte dei professionisti. In particolare, continua la nota, “il citato concetto indeterminato potrebbe essere utilizzato strumentalmente da parte degli ordini professionali per reintrodurre restrizioni alla concorrenza anche in violazione della legge n. 248/2006 (c.d. riforma Bersani).

Analoghe considerazioni, continua l’AGCM, “valgono con riguardo alla previsione secondo cui le “comunicazioni informative” non devono contenere “qualsiasi elemento di carattere promozionale o suggestivo”, in assenza di una puntuale definizione di tali espressioni. In tal modo, si limita infatti ingiustificatamente l’impiego da parte dei professionisti di un’importante leva concorrenziale e si ostacola la possibilità per i consumatori di effettuare scelte maggiormente consapevoli”.

Autority che ritiene che “la sicurezza dei trattamenti sanitari attiene piuttosto alle concrete misure e modalità di esercizio dell’attività sanitaria adottate dai professionisti, nonché ai controlli effettuati sulle stesse da parte dei soggetti preposti”.
Di conseguenza, i limiti introdotti dalla legge di Bilancio alla pubblicità sanitaria per l’AGCM “non risultano proporzionati, comprimendo ingiustificatamente la libertà dei professionisti di pubblicizzare la propria attività economica”.

Il fatto, poi, di attribuire all’AGCOM una competenza a vigilare sul rispetto dell’informativa sanitaria, innescherebbe “una commistione confliggente di competenze tra l’AGCOM e l’AGCM, in violazione della competenza generale di quest’ultima a vigilare sul rispetto delle disposizioni introdotte nel Codice del Consumo in sede di recepimento della direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali scorrette tra imprese e consumatori”.Per questi motivi, per l’AGCM “la norma viola pertanto le disposizioni di rango eurounitario e nazionale che attribuiscono all’Autorità la competenza esclusiva a vigilare sulla correttezza e trasparenza delle comunicazioni informative e promozionali anche in ambito sanitario” 


Direttore sanitario

Sotto la lente dell’Auority per la concorrenza del mercato anche la norma che obbliga il direttore sanitario “delle strutture sanitarie private di cura” ad essere iscritto all’Ordine territoriale nel cui ambito ha sede la struttura in cui opera.Norma che per l’AGCM “costituisce una ingiustificata restrizione della concorrenza nell’offerta dei servizi professionali in ambito sanitario, non supportata da obiettive esigenze di interesse generale”.

“La previsione –continua l’Autority- non appare volta a garantire prestazioni sanitarie più sicure a tutela dei consumatori, né si rivengono particolari esigenze di un più pervasivo potere di vigilanza da parte dell’Ordine territoriale di appartenenza”
“Occorre rilevare –continua- che l’accesso alla professione sanitaria avviene a seguito di un percorso e con l’acquisizione di un titolo di studio e di un’abilitazione riconosciuti a livello nazionale, aperti anche ai cittadini degli altri Stati Membri in regime di libera prestazione di servizi. Il professionista, dunque, una volta iscritto all’Albo può esercitare l’attività sanitaria su tutto il territorio nazionale, nel rispetto delle relative normative di settore”. 

Autority che considerano le altre professioni protette, ad esempio quella degli avvocati, fa notare che “l’iscrizione all’Ordine professionale prescinde dal luogo di effettivo esercizio dell’attività”.
Pertanto, l’Autorità ritiene che la nuova previsione, facendo coincidere l’ambito geografico di iscrizione all’Albo con quello di esercizio dell’attività di direttore sanitario, finisce per segmentare il mercato e si traduce in un’ingiustificata barriera all’accesso e all’esercizio dell’attività, anche per quei professionisti che operano in più strutture sanitarie”. (Anche se nel caso della funzione di direttore sanitario questo non è più consentito per quanto disposto dalla legge sulla Concorrenza, NdR)



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