C’è un punto non irrilevante che non è stato abbastanza analizzato, almeno fino ad ora, alla luce dei risultati del referendum.

Intendiamoci: il vincitore per dir così uber alles, dovrebbe essere il lucido Zaia veneto, che con la sua Liga (Liga, con la i, attenzione!) ha di gran lunga sopravanzato il fratello leghista lumbard, significando, nel contempo, l’esistenza (meglio, la coesistenza), sia pure pacifica, di due “partiti” dentro la creatura di Umberto Bossi, dove le istanze avanzate da Roberto Maroni sono diverse e di peso assai minore rispetto a quelle che pretende, sia pure giustamente, il suo collega veneto.

Luca Zaia, forte della maggioranza del 51 per cento, chiede al Governo molto di più di quanto Maroni attenda da Roma, forse anche in relazione al risultato milanese che conferma da un lato la sostanziale indifferenza dei milanesi per quesiti generici, e dall’altro la loro appartenenza a una realtà politico-storica-geografica incamerata ben dentro la nazione ma, contestualmente, operante e viva in un contesto da autentica Città-Stato, dove persino i termini di destra e sinistra si affievoliscono, sol che si pensi ai toni smorti e silenziati del Partito Democratico ambrosiano in questa ultima prova elettorale, e all’incredibile assenza (al silenzio di tomba) di Fratelli d’Italia. Ma tant’è.

Il punto vero se non dolente riguarda la stessa Lega lombarda coinvolgendo né più né meno che il suo segretario nazionale Matteo Salvini e i suoi rapporti soprattutto con Maroni e, fuori dal comune recinto, con Silvio Berlusconi. Qui non si vuole cercare l’ago nel pagliaio, ma almeno un fatto sembra appurato, per quanto riguarda Salvini, ovvero la sua collocazione, anche attuale e comunque mai smentita o corretta, in un predicato sovranismo del quale s’è vantato più volte, anche in televisione, e che ha ben poco a che fare con quell’autonomismo regionale richiesto dal referendum, nel cui risultato se si notano subito i vincitori e i vinti dei partiti più o meno opposti, non di meno è riscontrabile una differenziazione all’interno della Lega vincitrice, fra Salvini e Maroni, appunto. Nessuna voluttà di, come si dice a Milano, pucciare il biscotto dentro le divisioni interne di un movimento, peraltro fondamentale al Nord.

Sta di fatto che la figura salviniana esce comunque indebolita nel dopo 22 ottobre tanto più nei confronti di un governatore che ha voluto in prima persona quel referendum - seguito a ruota, in un certo senso più spinti che convinti, da quelli di Forza Italia col loro leader Berlusconi, di certo più convinto di loro - e l’ha vinto, sia pure con un risultato non così brillante se si osserva che, col 38 per cento, nemmeno un lombardo su quattro l’ha approvato, e a Milano men che meno. Il Cavaliere, dunque. Berlusconi è stato più attento dei suoi al referendum, in nome soprattutto di una parola che sembra andata in disuso. Con la lingua fuoripolitica. Ha ripreso un suo tragitto dopo un periodo difficilissimo, ha persino curato il fisico con una cura dimagrante e ringiovanente, ha coinvolto intelligentemente le sue televisioni col sallustiano “Il Giornale”, ma soprattutto è apparso lucido fin da subito, sia guardando a un certo sud dove la sua Forza Italia è non poco debole, sia osservando il Nord senza nessuna sottovalutazione della prova referendaria e il risultato, incredibile a dirsi, lo pone fra i vincitori senza se e senza ma, a fianco di Maroni. Naturalmente sa o dovrebbe sapere che si tratta di un inizio. Ma, come dice il proverbio, chi ben comincia...

Aggiornato il 26 ottobre 2017 alle ore 22:15