Contro la cultura della resa

Se fosse possibile osservare da molto lontano, o da un altro pianeta, le vicende politiche posteriori alle recenti consultazioni elettorali, le azioni di molti dei protagonisti potrebbero apparirci semplicemente ridicole. Ma nessuno di noi può rinunciare al proprio radicamento. E non possiamo osservare da estranei quanto avviene in questi giorni nella politica italiana. La cosa più sconcertante è il “soccorso” attivo prestato da tanti intellettuali, commentatori e uomini politici alla formazione pentastellata, a cui non manca la resa senza condizione di molti altri e il silenzio di chi s’illude di poter trarre vantaggio dal nuovo corso o di sottrarsi in tal modo alle possibili “ritorsioni” dei governanti di domani.

A parte la lodevole eccezione di Angelo Panebianco, sono pochi coloro che si sono soffermati sulla strutturale inconciliabilità del modello sociale proposto in questi anni dagli esponenti del Movimento 5 Stelle con la nostra appartenenza al mondo occidentale e alla sua tradizione. Sembra che solo una ristretta cerchia di “eccentrici” abbia avuto dei maestri di libertà e che le nostre scuole, le nostre università, le nostre biblioteche non siano mai esistite.

Sottratto dalla politica al fallimento scolastico e alla disoccupazione, Luigi Di Maio ripete con asfissiante monotonia che il “popolo” ha deciso così! Sarebbe sufficiente rammentargli la percentuale degli astenuti per ridimensionare il risultato del suo movimento. Tuttavia, poiché mostra platealmente di non saperlo, sarebbe più importante insegnargli che, se non è limitata, la sovranità popolare non espande assolutamente la libertà degli individui. Accade anzi che, divenendo un potere illimitato, la cosiddetta volontà del popolo travolga ogni argine e renda impossibile la libertà dei cittadini. Anche senza andare lontano, la storia del secolo scorso ci fornisce un’ampia e raccapricciante testimonianza di ciò.

La democrazia a cui dobbiamo le conquiste che rendono migliore la nostra vita è dovuta esattamente alla limitazione del potere, conseguenza della coniugazione del principio democratico con quello liberale. Il che è quanto bisognerebbe sempre opporre, senza alcuna esitazione, a coloro che ci chiedono il voto. Chi pretende di avere il nostro consenso con l’intento esclusivo di conquistare il potere, o di renderlo illimitato, non ama la libertà individuale. Odia probabilmente i governanti in carica, ma la libertà dei cittadini non è fra i suoi obiettivi. Quali che siano le sue promesse, può solo inasprire lo “sfruttamento politico” nei nostri confronti. E, pur di raggiungere tale scopo, è disposto a calpestare ogni impegno.

La scena di questi giorni ce ne dà conferma. Cancellando frettolosamente e disinvoltamente quanto declamato ad alta voce nel recente passato, Luigi Di Maio sta cercando in tutti i modi di formare un governo. Con totale disprezzo di ogni coerenza politica, prima ha tentato con il centrodestra e ora sta provando con il Partito Democratico. L’ago magnetico della bussola fornitagli da Beppe Grillo e Davide Casaleggio è rivolto esclusivamente alla conquista del potere. È questo il reale obiettivo dei dioscuri del movimento, il cui cieco disegno non tiene minimamente conto della complessità del mondo di oggi e delle variabili internazionali in gioco.

Non bisogna allora cedere alla tentazione di dare sostegno ai pentastellati. Pensare di rabbonirli e integrarli è un’illusione non meno pericolosa e fallimentare di quella cullata da coloro che ritenevano di poter “addomesticare” il fascismo. Non si fornisce aiuto a coloro che negano il valore delle nostre istituzioni. La responsabilità di quanti amano la libertà individuale non sta quindi nel favorire un governo a guida pentastellata, ma nel sottrarsi a qualunque lusinga o vantaggio immediato. Quel che occorre è lavorare per restituire al Paese una dialettica politica che tenga conto dei nostri gravi problemi interni e della nostra collocazione internazionale.

Aggiornato il 03 maggio 2018 alle ore 14:08