Quanto durerà il duo?

Il colpo basso (o alto, fate voi) dei magistrati alla Lega fa inevitabilmente sorgere una domanda cattiva ma irrefrenabile: che fine ha fatto il mitico e urlato “Vai avanti Di Pietro!” di bossiana memoria? Un interrogativo che ha, comunque, una doppia risposta sia pure d’alternanza nella misura con la quale Matteo Salvini da un lato cerca nel Quirinale alleanze alle sue proteste, dall’altro il Consiglio superiore della magistratura scende in campo contro un altro leghista al Governo per avere a sua volta protestato contro le sue (della magistratura) correnti di sinistra.

Insomma, siamo ritornati alla cosiddetta giustizia politica del bel tempo che fu e su cui soprattutto il Cavaliere ebbe da dire la sua ma, diciamocelo, con scarso successo, anzi. Parrebbe perciò di assai poca utilità politica la ripresa di simili scontri che mutatis mutandi, vale a dire con un Beppe Grillo che oggi comanda, rischiano di diventare simili alle goldoniane baruffe chiozzotte, con tutto il rispetto per  il teatro veneziano del più alto livello rispetto a quello bassissimo, diciamo terra terra, di un grillismo fuori dal teatro e dentro il potere, quello vero, quello che ci riguarda.

Meglio prima, si capisce, non fosse altro perché un comico può fare ridere o meno a teatro e in tivù, ma se sale al governo le risate si tramutano nell’opposto del significato primigenio. In realtà non è che stimoli al plauso, ad esempio, un Luigi Di Maio ma, semmai, a una considerazione sull’entità stessa del sistema di promesse che esce come un fiume in piena dalle sue esternazioni mediatiche sempre più  frequenti. E col sospetto non infondato che si tratti di una sorta di concorrenza con l’altra fonte salvinana ognor sgorgante, con il risultato di far rilevare la differenza fra un “movimento nato dalla fantasia di un comico e un partito da decenni fortemente organizzato e presente nel territorio abituato da decenni a gestire il potere ammnistrativo” (G. Morra).

Non solo ma il movimento pentastellato, rispetto alla Lega di Salvini, ha in più se non in peggio una differenza sostanziale che è a tutti gli effetti ideologica, nel senso che si nutre e vive di una specie di utopia e di contestazione del bel tempo che fu condividendo e sognando il licenziamento sia della Casta politica considerata fonte di ogni malgoverno e corruzione, sia delle altre Caste del potere bancario ed economico-finanziario in nome di un populismo demagogico, e per conto di quel diktat ideal-ideologico dell’uno vale funzionale all’altro licenziamento, della democrazia rappresentativa di stampo liberale e la nascita, per converso, di un nuovo tipo democratico, cioè informatico, internettiano, twitterista, salvifico e, va da sé, con invocazioni profetiche e istinti mitologici.

Ed ecco che un nuovo interrogativo si pone a proposito della stessa coabitazione governativa laddove il modus vivendi e operandi della Lega con le sue strutture interne, con l’organizzazione territoriale, con le esperienze di capaci amministratori comunali e regionali è l’esatto opposto di una specie di tirare a campare grillino, detto per l’appunto in riferimento a una disorganizzazione ai vari livelli, a una voluta mancanza di alleanze, a un’assenza di obiettivi e di programmi degni di questo nome; il tutto condito dal disprezzo di fondo antipolitico (l’anti-Casta, insomma), il rifiuto dell’economia della condivisione e chi più ne ha più ne metta. Ebbene, in questo quadro a dir poco sconnesso lo status dell’alleanza a due sarà messo a dura prova. Finché dura, come si dice.

Aggiornato il 07 luglio 2018 alle ore 12:36