Di Maio oltre alla povertà vuole abolire pure la matematica

Ospite di Bruno Vespa martedì scorso, il vicepremier Luigi Di Maio ha rilasciato un’intervista-fiume di circa un’ora e trenta a dir poco sconcertante.

Un fantascientifico condensato delle ben note buone intenzioni economico-finanziarie a Cinque Stelle che, come ci sforziamo di spiegare da tempo nel nostro piccolo su queste pagine, se fossero applicate anche in minima parte manderebbero all’aria l’intero sistema. D’altronde l’ impianto teorico, se tale vogliamo definirlo, che sembra sostenere la visione del ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico poggia su tutta una serie di presupposti fasulli e nessi causali farlocchi, probabilmente raccolti qua e là tra uno spettacolo di Beppe Grillo e la solita chiacchierata dal sapore qualunquista al bar sotto casa.

Sta di fatto che, propaganda o meno, il prode Giggino insiste con grande energia nel cercare di far deragliare il prima possibile questo disgraziatissimo Paese, attraverso un demenziale combinato disposto di miliardi gettati nello sciacquone della spesa corrente e di misure talmente dirigiste da far concorrenza al famigerato Gosplan, ossia la sinistra commissione sovietica per la pianificazione economica. Tant’è vero che nei primi minuti della sua performance televisiva il capo politico del Movimento 5 Stelle si è lanciato a briglia sciolta enunciando con veemenza una delle sue molte profezie in attesa di auto avverarsi: “Con la pensione di cittadinanza e il reddito di cittadinanza che introdurremo in questa legge di bilancio – a me la storia… poi potranno dire che non sono stato un buon ministro, che il Movimento 5 Stelle non è stata una buon forza politica, non lo so – però noi, in maniera decisa, con questa manovra, con questa legge di bilancio, avremo abolito la povertà”.

A questo punto, dopo aver eliminato a colpi di onestà ogni forma di indigenza, regalando per decreto dignitosi quattrini a richiesta, ci si potrà dedicare a obiettivi ancora più ambiziosi, come ad esempio una norma che abolisca una volta per tutte il lavoro e la relativa fatica. Elementi oramai del tutto superati dalle straordinarie misure di chi governa attraverso la ferrea convinzione che basti far approvare in Parlamento un qualunque desiderio per vederlo poi realizzato fin nei minimi dettagli. In questo Di Maio e soci non sembrano poi così distanti dalle caratteristiche psico-antropologiche degli uomini primitivi descritte nel famoso “Totem e tabù” di Sigmund Freud. Infatti, tanto i grillini al potere che i nostri antenati delle caverne pare che abbiano in comune la credenza legata all’onnipotenza dei pensieri e al potere taumaturgico e magico della parola.

Da questo punto di vista nell’idea di abolire la povertà attraverso un atto deliberato della sfera politica, che in altri termini equivale ad abolire tutto ciò che non ci piace - compresa la indigesta logica dei numeri - si scorge un drammatico elemento regressivo di massa il quale, in assenza di validi anticorpi razionali, rischia di riportarci ad un livello di sviluppo in cui la medesima povertà rappresentava la durissima condizione di vita della stragrande maggioranza degli individui. Sarebbe il caso di rifletterci sopra.

Aggiornato il 28 settembre 2018 alle ore 11:42