Lega-Cinque Stelle: questione di feeling

Le apparenze possono ingannare, ma il feeling tra MoVimento Cinque Stelle e Lega, Tav o non Tav, continua più intenso e vivo di prima. Spiace davvero per i tanti, o pochi, che dalle fila dell’ex centrodestra si sgolano a lanciare inviti all’alleato non-alleato leghista a ritornare ai vecchi amori. Da questo orecchio Matteo Salvini è sordo. E come dargli torto, da quando si contrattualmente associato ai grillini la vita non gli potrebbe andare meglio. Fa ciò che gli pare e le urne, oltre che i sondaggi, lo premiano. Perché mai dovrebbe tornare sui suoi passi? Il “Capitano” è uno che studia. Ha avuto quattro anni a disposizione per sezionare al microscopio la storia ventennale del centrodestra, in particolare quella delle stagioni di governo. E cosa ha imparato? Una verità elementare che per eccesso di pudicizia, o di astuzia, i protagonisti del tempo, ad eccezione del diretto interessato Silvio Berlusconi, hanno sempre opportunisticamente taciuto. Il centrodestra negli anni di governo si trasformato in un terreno di sabbie mobili, in grado di paralizzare anche i più tenaci esploratori.

Berlusconi sono anni che lo ripete: “Non ho potuto fare ciò che sarebbe stato utile al Paese perché i miei alleati me lo hanno impedito”. Verissimo, il vecchio leone di Arcore, ancor più dell’azione contrastante della magistratura o della velenosa propaganda a sfondo antropologico della sinistra, ha subìto l’azione corrosiva dei capi e capetti della coalizione trainata dalla forza dirompente del suo leader carismatico. Ma i frenatori non erano stipati solo nei cespugli del centrodestra. Anche nella pattuglia dei forzisti, per un certo periodo estesa alla formula del Popolo delle Libertà, non sono mancati i “gattopardi”, i fans dello status quo, del che-nulla-cambi. Sono anche loro, e non solo la sinistra, i responsabili dell’avvento di una forza di rottura antisistema del tipo dei Cinque Stelle. La Storia non si fa con i “se” ma, come diceva qualcuno, i “se” aiutano a capire la Storia. Pensate che oggi avremmo a che fare con i Di Maio e i Fico se il centrodestra di Berlusconi avesse cambiato il Paese come promesso all’alba della sua apparizione sulla scena nel 1994? Tutto questo il prudente Salvini deve averlo analizzato con estrema attenzione. Da qui la decisione: indietro non si torna. D’altro canto, chi glielo farebbe fare di andarsi a consegnare, magari dopo un poco commendevole ribaltone di Palazzo, a una maggioranza risicata nella quale l’ultimo galoppino della politica si sente in diritto di ricattare con il proprio voto un governo e un’intera maggioranza. Ad essere obiettivi, ancor prima di Salvini c’era stato Matteo Renzi che aveva fatto tesoro della lezione berlusconiana.

Il senso del licenziamento in tronco di Enrico Letta da Palazzo Chigi con il famoso tweet: “Stai sereno”, scaturiva dalla presa di coscienza che quel Governo di compromesso non avrebbe reso granché, ma si sarebbe dovuto accontentare di un mediocre galleggiamento, nocivo per le ambizioni di crescita del giovane leader fiorentino. L’elettorato, in quella circostanza, mostrò di apprezzare la mossa del cavallo giocata da Renzi. Tanto che lo premiò alle elezioni europee della primavera 2014 con un ampio consenso che rappresentava un’apertura di credito alla sua azione sfrontata ma coraggiosa. Che poi il giovanotto di Rignano sull’Arno abbia dissipato malamente quel capitale di fiducia è un’altra storia. Salvini, che ha avuto l’indubbio merito di riportare nel lessico della politica la parola coerenza, non ha alcuna voglia d’impantanarsi nelle sabbie mobili. E chi più del vecchio leone di Arcore dovrebbe capirlo? Ragion per cui anche nel caso di ulteriori successi del centrodestra nelle competizioni locali o regionali, lo spartito non cambierà. E quando sarà il momento di tornare a rinnovare il Parlamento, c’è da scommettere che il leader leghista non vorrà accontentarsi di una vittoria di misura del centrodestra, con uno o due senatori sopra l’asticella della maggioranza.

Per come è combinato il sistema elettorale, un’alleanza più ampia sarà sempre necessaria. E dal momento ché il quadro della rappresentanza politica si è consolidato, non occorre una grande fantasia per comprendere che le future maggioranze parlamentari per essere più ariose, usando un’espressione cara al compianto Pinuccio Tatarella, dovranno allagarsi a segmenti significativi dell’area più ondivaga delle tre verso le quali verrà indirizzato il consenso elettorale, cioè il Cinque Stelle. Vale per il centrodestra, come per il centrosinistra. L’autosufficienza delle singole aree non è praticabile stante l’attuale legge elettorale. Vi chiederete: come può funzionare un meccanismo del genere se non c’è giorno che i politici di tutte le parti se le diano di santa ragione? Non trascurate la natura fenomenica della politica per cui ciò che oggi appare impossibile, domani diviene ordinario. Il problema di fondo è rappresentare gli interessi di un blocco, possibilmente maggioritario e organico, di elettori. E il nostro sistema politico, in passato, ha conosciuto anche la stagione delle “convergenze parallele”. Ora, avete fatto caso all’Aula di Montecitorio nell’atto della votazione sulla riforma della legittima difesa? Un’ampia maggioranza si è palesata alla quale, insieme alla Lega, hanno concorso Forza Italia, Fratelli d’Italia e una quota dei Cinque Stelle, visto che alcuni di loro, contrari al provvedimento, hanno abbandonato gli scranni prima del voto. Di quel fotogramma fatene un fermoimmagine e fissatevelo nella mente perché, nel prossimo futuro, potrà capitare di rivederlo all’opera più spesso di quanto si pensi.

Aggiornato il 08 marzo 2019 alle ore 10:55